I risultati di alcune ricerche hanno dimostrato l’incidenza dei disturbi
psicologici (ansia, depressione, ecc.)
sul rendimento lavorativo del singolo e di conseguenza sul bilancio aziendale;
ad esempio uno studio realizzato dal National Institutes of
Mental Health (Istituto Nazionale delle Malattie Mentali) ha
evidenziato come ogni lavoratore americano afflitto da disturbi bipolari in
media perda 65 giorni di lavoro l’anno, rispetto ai 27 persi da chi soffre
di depressione maggiore.
A tali disturbi vanno affiancati
quelli che hanno assunto il ruolo di “malattie dell’ambito
lavorativo” come la sindrome da stress lavorativo,
la sindrome del burnout, il mobbing, la dipendenza lavorativa.
Il lavoro, oggi, non è considerato
solamente come un’attività necessaria al sostentamento, ma è diventato anche un
mezzo per affermarsi socialmente: bisogna essere veloci, efficienti,
disponibili, sempre più bravi e preparati; quello che conta è il risultato, la
produttività.
Tutto ciò ha portato ad un accrescimento
dell’identità lavorativa rispetto a quella personale.
Lo stress da lavoro
Lo stress o Sindrome Generale di Adattamento (SGA) viene
definito come “una risposta generale aspecifica a qualsiasi
richiesta (demand) proveniente dall’ ambiente” (Seyle, 1975); esso
rappresenterebbe quindi la normale reazione dell’individuo alle pressioni
esercitate dall’ambiente (esterno o interno, fisico o psichico) e non
necessariamente ha valore negativo. In alcuni casi, infatti, può
contribuire a stimolare l’adattabilità di un individuo all’ambiente (eustress).
Al contrario, se protratto nel tempo, genera scarso rendimento, disinteresse
per il proprio lavoro, fuga dalle responsabilità ecc. (distress).
Per quel che riguarda l’ambito lavorativo vediamo che
lo stress è il risultato di un’interazione tra fattori organizzativi e fattori
personali.
Secondo il modello dell’Aggravio di lavoro – Job strain model (1)
– lo stress lavorativo sarebbe causato soprattutto dalla combinazione di un
eccessivo carico di lavoro e una scarsa possibilità di controllo sui compiti da
svolgere. Quindi seppure in presenza di un carico di lavoro pesante, un
lavoratore potrebbe non sentirsi stressato se percepisse di poter gestire nella
maniera più opportuna tale carico.
Il modello dello Squilibrio tra sforzo e ricompensa – Effort-rewards imbalance model (2) – ipotizza
che lo stress lavorativo si riscontri in presenza di un elevato impegno da
parte del lavoratore associato ad una scarsa ricompensa; che può essere intesa sia
come guadagno economico, che come approvazione sociale, stabilità lavorativa o
opportunità di carriera.
Secondo la Commissione Europea, Direzione generale occupazione e affari
sociali (3) i fattori più comuni che possono determinare stress
legato all’attività lavorativa sono:
- Quantità di lavoro da eseguire eccessiva oppure
insufficiente.
- Tempo insufficiente per portare a termine il
lavoro in maniera soddisfacente sia per gli altri che per se stessi.
- Mancanza di una chiara descrizione del lavoro da
svolgere o di una linea gerarchica.
- Ricompensa insufficiente, non proporzionale alla
prestazione.
- Impossibilità di esprimere lamentele.
- Responsabilità gravose non accompagnate da
autorità o potere decisionale adeguati.
- Mancanza di collaborazione e sostegno da parte di
superiori, colleghi o subordinati.
- Impossibilità di esprimere effettivamente talenti
o capacità personali
- Precarietà del posto di lavoro, incertezza
della posizione occupata.
- Condizioni di lavoro spiacevoli o lavoro
pericoloso.
- Possibilità che un piccolo errore o disattenzione
possano avere conseguenze gravi.
Nell’organismo di una persona sottoposta a stress si
osservano modificazioni nell’equilibrio del sistema endocrino e di quello
nervoso che coinvolgono una serie di ormoni come ad es. il cortisolo,
l’adrenalina e la noradrenalina: queste modificazioni hanno una forte incidenza
su tutto il sistema cardiovascolare. Lo stress abbassa inoltre l’efficienza del
sistema immunitario ed aumenta la probabilità di disturbi gastrointestinali,
malattie della tiroide, diabete e incrementa il rischio di insorgenza di
tumori.
Una manifestazione del disagio
professionale che ha conseguenze sull’efficienza lavorativa è rappresentata
dalla sindrome del “Burnout”, o “Sindrome dell’esaurimento emotivo“;
che rappresenta una reazione patologizzata allo stress lavorativo e indica uno
stato di insoddisfazione lavorativa, in termini fisici e psicologici, dovuta al
mancato raggiungimento di un obiettivo prefissato. Si manifesta con apatia, frustrazione,
mancanza di obiettivi e scarsa autostima, cui segue un forte senso di colpa
dovuto all’incapacità di portare a termine i propri incarichi.
Il burnout si
manifesta con frequenti e persistenti emicranie, disturbi gastrointestinali,
insonnia, eccessiva stanchezza; e con una serie di sintomi, che vanno dalle frequenti
influenze ai dolori lombari, alla
tachicardia e nausea.
Dal punto di vista psicologico si manifestano atteggiamenti quali volubilità,
inclinazione all’isolamento, bassa stima di sé, sensi di colpa, rabbia e
risentimento, alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno, indifferenza,
negativismo, isolamento, fino ad arrivare a paranoia, esaurimento, depressione
e una propensione all’uso di sostanze stupefacenti, farmaci o alcool. Nei casi
più gravi, stati depressivi possono condurre alla malattia mentale e a pensieri
suicidi. Chi ne è colpito è oltretutto incapace di chiedere aiuto, e ciò
evidenzia la mancanza di un riscontro sul piano sociale.
Tra i più comuni fattori di stress
sul lavoro figura il mobbing, una violenza
psicologica sul lavoro (non necessariamente a sfondo sessuale) provocata dal
deteriorarsi delle relazioni interpersonali e da anomalie organizzative; una
sorta di comunicazione conflittuale sul posto di lavoro, che avviene tra
colleghi o tra superiori e dipendenti, nella quale la persona attaccata viene
posta in una condizione di debolezza ed aggredita ripetutamente in maniera
esplicita o implicita per un prolungato periodo di tempo con lo scopo preciso
di mandarla via dal posto di lavoro. Gli attacchi mirano a colpire la capacità
di autonomia e d’iniziativa delle vittime e a renderle insicure di sé e della
propria professione: in poco tempo l’autostima vacilla e nasce il dubbio per la
validità del proprio operato. Oltre a ledere il rendimento lavorativo le
conseguenze del mobbing portano
addirittura al suicidio, all’incirca nel 20% dei casi.
Un’ ulteriore causa di stress
lavorativo è la dipendenza lavorativa che
tutt’oggi è ancora un fenomeno sottovalutato e poco riconosciuto nell’ambito
del disagio psicologico con la conseguenza di una diagnosi in fase avanzata
solitamente in seguito ad infarti o ad altre gravi malattie.
Ne è maggiormente colpito il lavoratore competitivo,
che ha una attitudine spiccata alla supremazia e all’autoaffermazione; il
lavoratore ambizioso e orientato al successo, instancabile, indirizzato verso
modelli di perfezione e grandi responsabilità.
Chi è predisposto a questa dipendenza solitamente
considera il lavoro come l’unica opportunità per vivere le interazioni sociali
divenute precarie per via degli impegni quotidiani: le ore dedicate agli
straordinari possono rappresentare un modo per evitare la solitudine o
l’assenza di un nucleo familiare. C’è chi si dedica anima e corpo al lavoro per
sottrarsi ad un disagio sentimentale o familiare o chi nutre la propria
autostima solo attraverso conferme e riconoscimenti sociali o ancora chi si
lascia sovraccaricare di lavoro per un bisogno di auto-punizione. Chi soffre di
questa dipendenza, si porta il lavoro in vacanza o nei fine settimana, non si
assenta mai né per necessità né per malattia, può avere crisi di astinenza,
provare sensazioni di vuoto angoscia e nervosismo quando è lontano dal lavoro,
può avere paura di perdere il lavoro, incubi relativi a errori o insuccessi e
spesso è incapace di ritagliarsi del tempo per svaghi e divertimenti;
automaticamente, nonostante il lavoro occupi l’intera vita di questi individui
il rendimento è piuttosto scarso.
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