Guidano &
Liotti affermavano che “La relazione terapeutica è un rapporto reale
nella vita del paziente e può essere l'elemento che più di ogni altro influisce
sull'efficacia e l'incisività dell'intervento” (Guidano & Liotti,
1979).
Rogers
parlava di relazione terapeutica come “elemento
curativo di base” (Rogers, 1951); e sosteneva che il terapeuta, al fine di
facilitare il cambiamento, deve porsi con un atteggiamento empatico, astenersi
dai giudizi ed essere genuino (Rogers 1957).
Questo modo
di intendere la relazione terapeutica è molto vicino ai concetti dell'Analisi
Transazionale, ovvero che “ognuno è Ok”, ognuno ha la capacità di pensare,
ognuno decide del proprio destino e queste decisioni possono essere cambiate
(Steward & Joines, 1990). Partendo da questi presupposti il lavoro
terapeutico, visto come una relazione collaborativa in cui entrambi mettono in
campo le rispettive risorse e competenze, deve essere teso a far sì che il
cliente recuperi la propria consapevolezza, spontaneità, intimità e quindi la
propria autonomia (Berne, 1964).
Ritengo che
tali affermazioni evidenziano il valore della relazione in sé nel lavoro
terapeutico e nel processo di cambiamento; e come l’istaurarsi di un rapporto
paritario basato sul rispetto reciproco, sulla fiducia e cooperazione siano
condizione fondamentale per il buon esito della psicoterapia.
Alla luce di
questi assunti, il primo passo che è fondamentale compiere nel processo
terapeutico è la costruzione di una buona Alleanza, ossia di quella sinergia
emotiva e operativa tra terapeuta e cliente che aiuta quest’ ultimo ad
impegnarsi con speranza, fiducia e partecipazione attiva nei compiti richiesti
dalla terapia.
Per facilitarla è essenziale cogliere la
prospettiva dell’altro “guardando il mondo attraverso i suoi occhi” soffermandomi
su ciò che sembra cruciale e toccante; il paziente ha bisogno di essere ascoltato,
di sentirsi accolto e compreso e in questa direzione possono risultare utili
interventi di sostegno empatico, di riformulazione, domande di chiarificazione,
parafrasi e rispecchiamento (Scilligo, 1991, 1992; Ivey & Ivey, 2004).
Dice Berne
che attraverso il terapeuta, il paziente ha la possibilità di sperimentare nel
vivo della seduta nuovi modi di interagire che consentono un nuovo
apprendimento interpersonale e la costruzione di un senso di sicurezza di sé
sufficiente ad eseguire i passi per cambiare (Berne, 1966).
L’Alleanza può anche includere
secondo la Benjamin
(2003) forme di legame che implicano diverse versioni dell’attaccamento.
Lo spazio
della terapia permette che ciò avvenga, poiché il terapeuta offre una base
sicura che consente al paziente di affrontare la paura del cambiamento e
sperimentarsi in nuove possibilità di essere. In tal modo gradualmente la
persona si accorgerà che tali possibilità funzionano anche al di fuori della
terapia e una volta interiorizzate, le nuove modalità, si sostengono da sole
per i benefici che ne conseguono.
La psicoterapia, come nuova esperienza
relazionale, crea così l'opportunità di modificare le relazioni internalizzate
e di configurarsi come processo di guarigione dal copione. Bowlby (1988) definì
l'Alleanza Terapeutica una base sicura e il terapeuta come una nuova figura di
attaccamento.
È inoltre fondamentale discutere e definire con il
paziente le regole del setting; fare attenzione che esse provengano dallo Stato
dell’ Io Adulto ed evitare di esprimersi in modo genitoriale o normativo.
Ritengo che questo tuteli entrambi e comunichi un senso di serietà e coerenza.
È importante chiedere al paziente di esprimere il
proprio parere in merito e restare attenti alla possibilità di reazioni
compiacenti che escludano lo Stato dell’Io Adulto.
Berne (1961)
descrive l’evoluzione della relazione terapeutica in base a fenomeni inconsci,
evidenziando come gli aspetti transferali positivi consentano un’autentica
alleanza terapeutica.
La nevrosi di transfert è definita da
Novellino (1987) come “una situazione
clinica caratterizzata dal fatto che il paziente, tramite un elastico, rivive
nella sua piena intensità emotiva l’impasse originario, vivendo inconsciamente
il terapista come se fosse il polo genitoriale dell’impasse stessa”. Il
paziente quindi tenderà a risperimentare
la relazione arcaica riproponendo i relativi giochi psicologici. Il paziente
proietterà il bisogno insoddisfatto sul terapeuta, poiché egli viene vissuto
dal paziente sia come fonte del possibile soddisfacimento del bisogno (polo
positivo del transfert) sia come fonte di frustrazione.
Il controtransfert
è inteso come reazione del terapeuta ai processi comunicativi inconsapevoli del
paziente.
Secondo Novellino (1987) l’analisi del
controtransfert è uno strumento per avere accesso al mondo interno del
paziente; il terapeuta, quando lavora con un Adulto (A2) decontaminato e con la
sua capacità intuitiva (A1), è libero di leggere i processi comunicativi
inconsapevoli del paziente potendo ipotizzare, a partire dalle proprie reazioni,
l’esistenza di dinamiche interne al paziente delle quali quest’ultimo non è
consapevole.
L’accettazione di una relazione da transfert
permette di costruire attraverso la relazione terapeutica un’esperienza
correttiva e antitetica rispetto a quelle del protocollo copionale (Benjamin,
2003).
Concludo con l’affermazione di Greenberg
(2000) secondo cui la relazione terapeutica è necessaria per fornire le basi
del lavoro terapeutico; generalmente sufficiente perché curativa in sé; non sempre efficiente perché può migliorare
con interventi concentrati sul compito.
Nessun commento:
Posta un commento