lunedì 18 maggio 2015

Sui Lovegiver


Vorrei spendere due parole riguardo una realtà che ormai da qualche anno è entrata a far parte delle “competenze” di alcuni psicologi, terapeuti e operatori della salute: quella del lovegiver ovvero dell’assistente sessuale per persone con disabilità.
Ciò che mi ha colpito di più non è tanto la portata che il fenomeno ha raggiunto in vari paesi (tra cui l’Italia), ma è il fatto che venga presentata come  naturale e necessaria, da una maggioranza, l’esistenza di una simile figura senza porsi minimamente delle domande di ordine etico.

Lovegiver, sexability, sexcounselor sono alcuni dei termini usati nel settore: oggi per diventare lovegiver  basta fare un corso teorico/pratico sulla sessualità e avere le caratteristiche psicofisiche e sessuali sane (?!); scopo del corso è quello di preparare degli operatori (sexcounselor) che aiutino la persona a sviluppare sexability ovvero capacità di provare piacere a prescindere dai limiti dovuti alla disabilità. In buona sostanza si fanno massaggi, si arriva a contatti di corpi e eventuale masturbazione dell’assistito/a se da solo/a non riesce.

Un primo passo importante sarebbe quello di dare il giusto nome alle cose: si fa un corso per vendere sessualità o in altre parole si fa prostituzione professionale (dato che devi frequentare un corso per farlo).
Chi porta avanti questo progetto (perché è come progetto che nasce)  parte dal presupposto che “ il sesso è un diritto per tutti”  e  che per capire quello che vivono i disabili bisognerebbe  “provate a stare senza fare sesso per un anno!”; facendo passare la sessualità come un aspetto imprescindibile dal concetto di salute e benessere. Questo però sembra contravvenire a diversi studi e situazioni  in cui invece l’astinenza,  per alcuni periodi o anche prolunagata, può giovare alla persona più di un’attività sessuale fine a se stessa.
È già perché il concetto di amore non appare, giustamente, in questo tipo di programma: gli operatori che “sostengono emotivamente l’assistito” lo fanno,  presumo,  con il dovuto distacco che è richiesto e necessario in ogni tipo di intervento di aiuto. Il tutto tralasciando che dall’altra parte la persona può sviluppare una forma di amore e attaccamento con il rischio di arrivare a soffrire creandosi addirittura dei veri e propri castelli di sabbia che una volta caduti potrebbero arrecare più danni dell’astinenza in sé!
Personalmente credo che la sessualità abbia un valore simile nel caso di una persona disabile e di una normodotata, con questo intendo dire che quando questa rientra in un contesto ottimale, come conseguenza di una relazione affettiva profonda, allora può ritenersi sana.

Perché invece di creare esperti di sessualità non creiamo, in quanto professionisti del settore psicologico, interventi tesi a sostenere le difficoltà con cui possono confrontarsi alcuni disabili quando si tratta di porsi in relazione intima con qualcuno? Perché non creare interventi che favoriscano e sviluppino la capacità di socializzazione e di scambio comunicativo e che favoriscano la creazione di relazioni?
Mi sembra che sia un po’ come il discorso dello scegliere tra l’insegnare a coltivare la terra, a chi ha bisogno di mangiare; o l’offrire, al suo posto ogni tanto, qualcosa da mangiare.



  

sabato 16 maggio 2015

Spunti di riflessione


La morte è per molti qualcosa di spaventoso, qualcosa di cui aver paura. L'ignoto, la mancanza di controllo associati all'evento portano spesso l'individuo a evitare di pensare, se non quando gli eventi della vita lo costringano,  a questo passaggio importante. Così la vita trascorre e l'attenzione rischia di essere rivolta solo agli aspetti prettamente materiali orientati a soddisfazioni e realizzazioni di base.
 Bisognerebbe imparare a trovarsi del tempo nell'arco  della giornata in cui restare soli con se stessi  a porsi delle domande importanti  tipo "qual'è il senso della vita?", "sono felice?" "che rapporto ho con l’Assoluto?” ecc.;  domande che favoriscano un arricchimento interiore e che siano nutrimento per la propria anima.
Un'altra cosa che sarebbe bene imparare a fare è quella di trovare degli spazi in cui allontanarsi dalle continue sollecitazioni a cui si è sottoposti quotidianamente  e provare a restare in silenzio  imparando ad ascoltarsi e ad assaporare il vissuto che appare.
Tempo fa il mio Maestro Virgil Calin ci chiese:
Se vi venisse detto che vi restano poche ore di vita cosa fareste?”
Buona riflessione

mercoledì 1 aprile 2015

"OGNI COSA AL SUO POSTO"


Ho potuto notare che capita ad alcuni di farsi delle domande riguardo alcuni modi di fare, posizioni prese e affermazioni che sono comuni a chi appartiene al settore del benessere psicologico della persona. 
Ad esempio alcune frasi del tipo: “non è questo il contesto per affrontare l’argomento”, “ non faccio interpretazioni dei sogni via chat/telefono”, “si sono terapeuta ma non ti sto analizzando mentre stiamo chiacchierando tra amici!” pur facendo magari sorridere chi le legge possono essere per un addetto ai lavori all’ordine del giorno.
Credo che a riguardo sia utile comprendere alcuni aspetti importanti della nostra professione partendo prima di  tutto facendo una distinzione tra i vari tipi di richiesta  che si possono rivolgere a un terapeuta. La consulenza può essere richiesta partendo da disparate necessità e in base a questa il tipo di intervento è diverso e ha durata variabile, abbiamo:
ü  la consulenza psicologica nella quale richiediamo al professionista appunto una consulenza riguardo  a un aspetto problematico con cui ci confrontiamo in un preciso momento o su cui abbiamo dei dubbi e dobbiamo fare maggior chiarezza: ad es. quando si hanno difficoltà nella scelta da prendere in un determinato ambito e così via.
ü  Sostegno psicologico dove la richiesta è quella di avere un appoggio, appunto un sostegno,  nell’affrontare un momento di vita difficile: un lutto, la chiusura di un rapporto, un cambiamento improvviso.
ü  Sostegno alla genitorialità dove la richiesta è specifica e va nella direzione di ricevere competenze specifiche (problem solving) necessarie per affrontare delle difficoltà nel rapporto con i propri figli in base all’età/fasi di quest’ultimi e all’eventuale riattivarsi di aspetti personali del genitore.
ü  Terapia vera e propria dove la richiesta è quella di poter esplorare aspetti più profondi con il desiderio di poter trasformare aspetti della propria struttura di personalità che non sono più funzionali in un dato momento. Lo scopo è quello di ottenere una conoscenza di “come si funziona” e una ristrutturazione con il conseguente cambiamento di comportamenti, modi di porsi ecc.


A prescindere dal tipo di richiesta con cui si parte è fondamentale comprendere, come prima tappa, che si sta facendo una richiesta e in quanto tale è importante che le venga dato il giusto valore.
Questo significa ad esempio fare in modo che non avvenga in un contesto inopportuno, in un modo che possa svalutare l’esperienza o, ancor più importante, in una situazione dove il professionista si possa ritrovare a non poter approfondire adeguatamente l’argomento rischiando quindi di dover dare risposte generiche. Questo è uno dei motivi per cui  nel nostro campo evitiamo di fare “la terapia da salotto” con gli amici. A riguardo ricordo di una docente che scuola di psicoterapia che raccontava di come a una cena con persone nuove amici del marito si fosse ritrovata a  sussurrare che fosse una terapeuta per evitare situazioni che già conosceva dove il risultato era una gran svalutazione del lavoro che facciamo.
Ecco perché è importante anche dare il giusto compenso alla consulenza richiesta a prescindere dal tipo di consulenza e dal tipo di professionista che contattiamo: ogni cosa ha il suo valore e il tempo speso dietro a un colloquio, dietro a un trattamento ecc. a volte è molto di più di quello che appare dall’esterno.

venerdì 16 maggio 2014

Coppia Sana e Coppia Disfunzionale

Una  domanda   che a volte si  pone chi vive in coppia è: la mia relazione è normale?
·         Più che parlare di normalità è indicato formulare la domanda in termini di utilità:
    “la  relazione è utile nel favorire il mio sviluppo personale (psichico, sociale e spirituale)?”
Uno degli obiettivi principali di una relazione  di coppia sana è, infatti, quello favorire il processo evolutivo dei membri che ne fanno parte; questo obiettivo può essere realizzato se entrambi i partner riescono ad adattarsi e favorire lo sviluppo delle esigenze dell’altro.

·         La coppia all'inizio della relazione fa una specie di contratto implicito per stabilire le regole della relazione stessa: il quid pro quo coniugale (Jackson).
L’ espressione sta ad indicare  il fatto che ciascuna parte riceve qualcosa in cambio di qualcosa che da, definendo in questo modo i diritti e i doveri di ognuno. Dalla costruzione dei ruoli e delle regole di relazione dipende la “ riuscita” e la funzionalità della coppia; così ad es. il conformarsi di ciascuno allo stereotipo legato al ruolo sessuale è ritenuto estremamente importante  “non solo per la compatibilità sessuale ma anche per la salute mentale dei due partner e (…) per la buon riuscita della relazione”(Jackson,1977). Questo vuol dire che è molto importante, per una avere una relazione sana, mantenere ad esempio il ruolo di donna con ciò che ne consegue; e impegnarsi, dove è necessario, a richiedere al partner quella funzione di protezione che gli spetta  permettendogli di “dominare”, in maniera rispettosa, i processi decisionali. Uomini deboli, insicuri, sempre accondiscendenti con accanto donne forti e che prendono decisioni non sono indice di equilibrio nella coppia.

·     Poli opposti si attraggono?  Studi hanno dimostrato che le coppie più durature e stabili sono quelle caratterizzate da un’alta somiglianza tra i partner rispetto a valori, intelligenza, interessi e caratteristiche di personalità.
Quando si sceglie un partner con caratteristiche molto diverse, spesso lo si fa solo per l'attrazione fisica o per problematiche non risolte rispetto al mandato familiare
Ciò che davvero consolida le coppie, più che l'attrazione fisica, è dunque la similarità complessiva; oltre al fatto che si risparmieranno in questo modo discussioni inutili per incompatibilità caratteriale; discussioni che a lungo andare andranno a incidere sulla salute della coppia stessa. 

In una relazione di coppia sana cresce l’autostima, ci si sente compresi e si vive in uno stato generale di soddisfazione e benessere. 

Una relazione disfunzionale invece anziché stimolare la crescita della coppia fa sentire depressi e insicuri; infatti in questi rapporti le persone non si sentono comprese, ma giudicate e intimorite dalla critica dell’altro e per questo si impegnano di più a cercare di soddisfare le aspettative dell’altro che non a rispondere ai propri bisogni, mettendo in secondo piano il soddisfacimento dei propri bisogni
È presente la sensazione di non essere accettati e amati per quello che si è e nelle quali ci si sente messi alla prova, si arriva a vivere la sensazione che snaturare se stessi sia l'unico modo poter essere all'altezza dell’altro. 
Quando si sceglie di mettersi in simili relazioni lo si fa solitamente perché nelle relazioni primarie si è imparato a dover soddisfare l’altro, più che se stesso, per sentirsi amato e accettato. La persona nelle sue relazioni adulte tenderà di conseguenza a corrispondere alle aspettative altrui in modo automatico, senza dare importanza a se stessa 

· Nelle coppie sane sono assenti : 

- L'idea di cambiare l’altro


- La gelosia. Chi è geloso ha bassa autostima. Essere gelosi significa, in primo luogo, avere scarsa fiducia nelle proprie capacità di essere attraente per l’essere amato. La gelosia abbassa l’altro a oggetto togliendogli la dignità e la libertà di scegliere. La gelosia è più acuta quando la relazione amorosa non ha ancora dato prova della propria stabilità in termini di durata, di livelli di intimità raggiunti o attraverso la ratificazione di un legame stabile. In tal caso oltre a lavorare sull’autostima investite produttivamente sulla creazione di una relazione profonda. 

- Le ripicche e i comportamenti infantili. Questi comportamenti tipicamente femminili rischiano di far perdere la stima del partner che crede di avere accanto una donna matura con cui ragionare ad es. nel caso di opinioni differenti. 

- I giochi psicologici tesi a svalutare l’altro, a smascherarlo a farlo apparire nel torto quando si discute. La relazione serve a crescere e per farlo è necessario imparare a comunicare i propri pensieri, i vissuti e le emozioni soprattutto quando ci sono momenti di difficoltà. Questo aiuta il partner a comprendere il vissuto dell’altro (spesso diverso dal proprio!) e evita che si creino incomprensioni e astio che possono andare a influenzare l’andamento futuro della relazione. 

- La simbiosi. Seppure parte fondamentale dell’innamoramento iniziale è necessario superarla per vivere una relazione sana. E’ importante saper calibrare momenti di vicinanza a altri di separazione in cui coltivare interessi e relazioni esclusive. 
E va sottolineato che è importante sentirsi bene nel momento in cui si è senza il partner! 





                 







Una coppia sana lo è perché nel tempo ha imparato ad affrontare le difficoltà e le incomprensioni partendo da una base di rispetto reciproco e di spinta a superare se stessi laddove i limiti personali portano a valutare le situazioni da un prospettiva egoistica piuttosto che di utilità per l’altro. 

Una coppia sana è come un suo spazio “sacro” in cui i due sanno di potersi rifugiare ogniqualvolta ne hanno bisogno, non è un calderone dove riversare i propri stress e le proprie frustrazioni quotidiane ma è un ricettacolo dove distillare il sublime nettare dell’Amore. 









martedì 13 maggio 2014

Amo te, perchè?



Gli esseri umani sono geneticamente destinati ad innamorarsi (non tutte le specie di animali o ominidi conoscono l’ innamoramento) ma non sempre la scelta del partner è quella giusta e soprattutto destinata a durare nel tempo.
Vediamo quali sono i fattori che determinano la SCELTA DEL PARTNER:
  • Ci si innamora “con il naso” grazie ai feromoni, messaggi chimici che la persona che ci fa innamorare emette. Infatti nonostante i feromoni non abbiano odore, essi vengono percepiti con l`organo vomeronasale posto nella parte posteriore del naso il quale trasmette l`informazione direttamente all`ipotalamo, nel nostro cervello, che controlla i nostri istinti sessuali. Lo scopo dei feromoni è di garantire in modo naturale l`attrazione sessuale tra gli individui della stessa specie.
  •  Numerosi elementi fanno ritenere che la scelta venga effettuata con grande rapidità sulla base di “impressioni” legate a una serie di messaggi a livello verbale e, soprattutto, non verbale che le due  parti si scambiano.

Questi messaggi vengono immediatamente riconosciuti come un insieme di elementi di alto contenuto emotivo, nei quali è condensata tutta una serie di immagini di significato pregnante e di grande importanza per le persone interessate. Ne derivano le aspettative che in molti si fanno e le delusioni che ne conseguono.

  • Esiste un background evoluzionistico legato all'istinto di sopravvivenza e riproduzione che differisce tra le donne i gli uomini. Si può cercare un partner per vari motivi es. economici, sociali ecc. ma i motivi principali sono legati ad alcune bisogni fondamentali dell’uomo:

- attaccamento-accudimento bisogno legato alla ricerca della sicurezza. Spesso in queste situazioni il collante principale del legame è la paura della solitudine

- sessuale bisogno legato alla conservazione della specie attraverso la funzione riproduttiva.
Le nostre antenate ragionavano più o meno in questi termini : “per la sopravvivenza dei miei geni ci vuole un uomo affidabile che mi stia vicino, che sia in grado di proteggere me e i miei figli e che abbia le capacità e le risorse necessarie per farlo” di conseguenza inconsapevolmente siamo portate a scegliere uomini con caratteristiche di disponibilità ad accudire e proteggere e con un certo status sociale economico.
Diverse ricerche sono state fatte a riguardo e tra queste rientra quella condotta a Cardiff dai ricercatori Michael Dunn e Robert Searle.
Nel centro della città essi hanno fermato degli ignari passanti, chiedendo loro di valutare il livello di attrazione che provavano verso un soggetto dell’altro sesso, seduto in una macchina Agli uomini veniva mostrata una donna, alle donne un uomo. Erano sempre lo stesso uomo e la stessa donna, con la stessa postura e la stessa espressione facciale, ma ripresi con due “sfondi” differenti: o seduti su una Ford Fiesta, o seduti su una Bentley Continental .
La ricerca pilota ha dimostrato che sia il modello che la modella ricevevano una valutazione estetica media (in una scala da 1 a 10), ma che il modello maschile, nelle foto sulla Bentley riceveva una valutazione significativamente maggiore rispetto alle foto in cui era sull’altra macchina. Niente cambiava invece per le valutazioni maschili sulla modella: sia quando era nella city car sia quando era sulla macchina di lusso, veniva giudicata “attraente” allo stesso modo.
Questo a ragione del fatto che la mente e il corpo maschile sono programmati, a seguito della selezione naturale, a trovare attraenti, nelle donne, in modo del tutto inconsapevole, quelle caratteristiche femminili indicative di bellezza, salute, giovinezza. 
Il nostro antenato di sesso maschile possiamo dire che ragionava più o meno in questi termini è “per la sopravvivenza dei miei geni mi ci vogliono una donna giovane e sana. Giovane in modo tale che abbia la possibilità di procreare per tempi lunghi; sana per generare figli adatti a vivere a lungo per affrontare il mondo”. Inoltre maggiori sono i miei rapporti sessuali, anche con partner diverse, maggiori saranno le possibilità di riproduzione e di sopravvivenza.” A conferma i più recenti studi americani tendono a dimostrare che gli uomini, indipendentemente dall’età e dalla razza, considerano la giovinezza e la bellezza le qualità più importanti nella scelta di una compagna. Viceversa, le donne sognano un compagno ricco.
  • Un’altra ragione molto importante, che influisce sulla scelta del partner è dovuta al fatto che parte della gioia nell’avere l’altra persona così intimamente presente nella propria vita è saldamente collegata al fatto che l’altro conferma la nostra autostima e ci dà il senso del nostro valore. “Se mi ama significa che valgo!”.
  • Jung è andato oltre questi concetti, ed ha suggerito che quello che sembrava “amore a prima vista” fosse semplicemente una proiezione. Le persone, secondo Jung, riconoscono il loro animus maschile o la loro anima femminile, e sono attratti da ciò che riconoscono come la parte inconscia e nascosta di sé stessi. Per Jung, era importante capire questo aspetto della propria psiche, in modo da imparare a interagire con la propria anima (o animus) in modo da scegliere il/la partner con maggiore saggezza, per formare un rapporto di coppia adulto.
  • Andando ancora più in profondità possiamo dire che la scelta del partner è una mescolanza tra MITO familiare, MANDATO e ricerca di soddisfacimento ai BISOGNI PERSONALI .                       
Il mito familiare può essere definito come una griglia di lettura della realtà, in parte ereditata dalle generazioni passate, in parte creata nella generazione attuale, che assegna a ciascun membro della famiglia un ruolo e un destino specifici. E' un concetto usato per descrivere le credenze che la famiglia ha di sé, che si compone di immagini e leggende che contribuiscono a creare il senso di identità della famiglia stessa. I miti, benché falsi e illusori, sono accettati da tutti, anzi hanno qualcosa di sacro e tabù che nessuno oserebbe sfidare. Infatti per ogni famiglia i propri miti rappresentano la verità.

Il mandato rappresenta il compito, più o meno esplicito, assegnato a ciascun membro della famiglia, riguardo a una serie di ruoli da ricoprire e di scelte da fare, derivante dal mito e dalla storia della famiglia.
Quando il mito familiare prevale sui bisogni individuali, la spinta a realizzarlo è tale da sostenere la convinzione che esso esprima il tipo di legame più idoneo a soddisfare le esigenze personali.  Viene prestata più attenzione alle caratteristiche esteriori, al ruolo, alla posizione sociale, ai comportamenti del potenziale partner  corrispondenti alle aspettative presenti nel mandato familiare, sia esplicite che implicite (viene messa in atto un’ “attenzione/disattenzione selettiva” per gli elementi del carattere e del rapporto che possono contrastare con il mandato familiare). Le qualità affettive vengono ritenute conseguenti a queste caratteristiche.
Nel caso di una ribellione al mito, si tende a scegliere un legame con caratteristiche opposte al mandato familiare che per quanto dovrebbe avere una funzione liberatoria rispetto a una serie di vincoli affettivi/relazionali lascia comunque insoddisfatte le aspettative sul piano affettivo.
Da qui si capisce come la scelta del partner deriva molto da come sono stati affrontati i conflitti nella famiglia d’origine: meno ci sono conflitti irrisolti, più la scelta è libera cioè sono meno pressanti le esigenze del mandato.
Invece ogni problema relazionale esistente nella famiglia diventa per ciascun membro il “proprio problema” cioè diventa il termine di confronto per le relazioni successive.
Weiss e Simpson hanno elaborato, a riguardo, la teoria della coazione a ripetere in chiave evolutiva: l’individuo tende a ripetere determinati comportamenti nelle relazioni con il mondo esterno per trovare una via d’uscita alle difficoltà incontrate. In pratica ogni individuo prende come modello i genitori, sia per quanto riguarda la costruzione della propria identità nel ruolo sessuale  che per quanto riguarda uno schema di rapporto con il partner; e se la relazione con essi è difficoltosa, egli tenderà a ripeterla con tutti i futuri partner cercando di risolverla attraverso essi.
  •   Un altro fattore che può determinare la scelta del partner è il riconoscimento di una condizione di esperienza negativa condivisa “Anche lui/lei è passato/a attraverso lo stesso tipo di difficoltà e mi può capire”. Questo attenua,  infatti, la paura di essere giudicati male o rifiutati dall'altro.
  • Esiste nelle donne, a livello inconsapevole, una tendenza a sovrastimare l'attrazione per gli uomini che hanno già un rapporto stabile con un'altra donna. Il fenomeno si può spiegare con il meccanismo delle euristiche. Le euristiche sono delle forme di ragionamento veloci, una sorta di scorciatoie dal punto di vista cognitivo. In questo caso le donne mettono in atto una specie di inferenza indiretta circa le caratteristiche positive dell'uomo. Il ragionamento inconsapevole ed euristico potrebbe essere: “se questo uomo ha un rapporto stabile con un' altra donna, vuol dire che è adatto e ha aspetti positivi” In teoria, in termini di una relazione a lungo termine, sarebbe l'uomo single quello più appetibile, ma le sue caratteristiche andrebbero comunque accertate, cosa che potrebbe essere costosa in termini di tempo, forse meglio affidarsi a chi ha già superato il test!

domenica 13 aprile 2014

Ri-Conoscersi come genitori: “Scenari Inconsci nella relazione genitore-bambino”

Buona parte dei genitori sa che il modo in cui comunica con i propri figli e la capacità che ha di prestare attenzione alle loro esigenze ha un profondo impatto sul loro sviluppo e sul senso di sicurezza indispensabile per affrontare successivamente il mondo.
Non tutti i genitori però sanno che il significato che danno alle proprie esperienze infantili ha un profondo impatto sul loro modo di essere genitori. Nelle relazioni con i figli si tende infatti a mettere  in riedizione quei conflitti che hanno caratterizzato in età infantile il rapporto con i propri genitori.

Questi conflitti, definiti di genitorialità, sono  meccanismi fisiologici funzionali al divenire genitori e danno luogo a due meccanismi: attribuzione di ruolo (role giving) e identificazione complementare (role taking). Attraverso questi meccanismi, infatti, il  genitore cerca di allontanare da sé, mentre è con il proprio figlio, quei  conflitti affettivi irrisolti, ovvero, cerca di allontanare la parte inconscia e non rielaborata della sua infanzia (Berne,1971; Nastasi,1996).  Non sono da considerarsi conflitti patologici ma vanno considerati come fattori strutturanti che caratterizzano l’interazione genitore-figlio e vengono visti come aventi il ruolo di azione propulsiva per lo sviluppo del bambino (Muratori et al., 2008).

Nel meccanismo del role giving ciascun genitore proietta sul proprio figlio immagini significative del passato riferite o ad aspetti di sé in quanto bambino, o ad aspetti dei propri genitori. Un esempio, che fa intendere la presenza di questo meccanismo, è contenuto nella frase: “Assomiglia tutto a me, quando  anch'io facevo come lui” o “è simpatico come mio papà”. Nel role taking, invece si assumono, più o meno consapevolmente, attitudini comportamentali e di ruolo sperimentate, o solo fantasticate, nella relazione infantile con i propri genitori. Ne è un esempio il genitore che dice “Mi viene voglia di picchiarlo” (genitore che è stato picchiato). Questi fenomeni inconsci si verificano all'interno di una dinamica relazionale agita, ovvero secondo una modalità interattiva peculiare di  quella famiglia e tali conflitti di genitorialità cambiano nel corso della crescita del figlio in funzione dell’età e delle specifiche dinamiche che hanno legato il genitore, quando aveva l’età del bambino, ai propri genitori.
I due meccanismi su menzionati possono essere collocati nell’ambito di scenari inconsci nei quali i genitori si possono venire a trovare con il loro figlio. Quando si parla di scenario ci si riferisce al concetto di amore di sé o meglio ancora ideale di sé (ideale dell’Io) secondo cui ognuno vorrebbe sentirsi degno di amore e fiero delle proprie azioni. Tale ideale però nella storia evolutiva dell’individuo può subire dei danneggiamenti delle carenze ecc.
Nel momento in cui si diventa genitori si riapre il file legato a questo ideale e succede che il genitore colloca inconsciamente sul bambino il proprio ideale dell’Io attribuendogli perfezioni, rivendicando privilegi ecc. Può così succedere che il genitore si impegni inconsciamente con il proprio figlio a mantenere gli schemi interattivi,  le immagini e le fantasie che sono state approvate nell’infanzia o desiderate dal genitore quando era bambino. Oppure il figlio diventa lo strumento per cercare di aggiustare, cambiare situazioni di dolore, carenza vissute dal genitore da piccolo.

In ogni scenario il genitore realizza delle proiezioni sul bambino che prendono il nome di role giving e che sono delle attribuzioni di ruolo che vengono fatte sul bambino. Sono stati individuati quattro possibili role giving i quali non vanno però associati a categorie diagnostiche:
1.      Role giving empatico:  si ha quando i genitore proiettano sul figlio  immagini relative ai propri genitori  o ad aspetti di se stessi bambini che sono carichi di affetto positivi.
Sono genitori che godono della presenza del figlio e ne amano le caratteristiche. In questo caso le proiezioni servono a ristabilire i legami con persone significative del proprio passato o a rielaborare lutti sospesi. In questo role giving il bambino può identificarsi con tratti amorevoli e sarà presente uno stile di Attaccamento Sicuro.
2.      Role giving Empatico-Costrittivo: questo scenario si può realizzare quando le proiezioni che i genitori fanno sul bambino riguardano le immagini dei genitori che si avrebbe voluto avere vicino nella propria infanzia, o le immagini di sé come di un bambino amato, che non corrispondono però a quanto è stato sperimentato.
Il genitore, che lotta in questo caso con gli affetti negativi connessi ad esperienze infantili vissute come carenti di qualcosa rispetto ai bisogni fondamentali di sé come bambino, nella relazione attuale ha spesso sensi di colpa rispetto al non fare abbastanza, pretende da se stesso in modo esagerato nascondendo sentimenti depressivi latenti. Il tentativo di incarnare il genitore ideale che si avrebbe voluto avere nella propria infanzia rende questi genitori esausti e con tratti ossessivi. Altra caratteristica di questi genitori è quella di dimenticarsi, ad esempio, di essere anche coniugi.
Il bambino in questo scenario sarà bloccato nella propria autonomia, avrà un eccesso di dipendenza e svilupperà sintomi fobici e somatici che “permetteranno” al genitore di sentirsi il figlio vicino e quindi di rassicurarsi. Sarà presente uno stile di Attaccamento Ansioso-Ambivalente.

3.      Role giving Costrittivo-Deformante (1)
Role giving Costrittivo-Deformante(2): questo scenario riguarda i genitori che, per ragioni diverse, nella propria infanzia sono stati visti e trattati come bambini difficili, cattivi, come pesi per i propri genitori (Tipo 2); o riguarda genitori che si sono percepiti come bambini difficili, e che si sono sentiti in colpa per un’aggressività normale provata nei confronti dei propri genitori (Tipo1). Spesso in queste infanzie sono presenti lutti precoci, malattie gravi o depressioni dove, non essendo presente un’ adeguata rielaborazione hanno portato il bambino a sentirsi responsabile e colpevole.
A causa della colpa che si portano dentro questi genitori  possono assumere un atteggiamento espiatorio di vittimismo e rassegnazione a ricevere maltrattamenti; fanno fatica ad essere autorevoli ma dicono le cose in modo arrabbiato o non fermo alternativamente. Lo “scopo”  di questo role giving da una parte è quella di farsi trattare male dal proprio figlio per espiare una colpa antica, dall’altra è farsi trattare dal bambino nel modo in cui si avrebbe desiderato trattare i propri genitori.
Il bambino se accetta la proiezione può sviluppare sintomi oppositivi provocatori con tratti difficili e aggressivi, non ascolta le regole e non è rispettoso dell’adulto.
Sarà presente uno stile di Attaccamento Ansioso-Ambivalente ed Evitante.
4.      Role giving Deformante-Evacuante: in questo scenario il genitore più che proiettare è come se collocasse sul bambino un’immagine che lo deforma. I genitori “evacuano” sul bambino immagini del passato dei genitori molto cariche di aggressività e odio.
Questi genitori hanno fatto esperienza nella propria infanzia di sentirsi umiliati, sbagliati, perseguitati. Tale esperienza viene rivolta al figlio con un atteggiamento di rifiuto;  è presente inoltre un’idealizzazione della propria infanzia per evitare il dolore e l’angoscia associati e l’identificazione con un’immagine di genitore freddo e distaccato.
Il bambino in questo tipo di scenario si ritrova bloccato nello sviluppo dell’autonomia perché su di lui sono presenti immagini cariche di aggressività e tutti i comportamenti che non sono in linea con l’immagine “evacuata” non vengono considerati dai genitori e perciò il bambino si ritrova ad essere “obbligato” a svolgere un ruolo che gli è stato attribuito.
Sarà presente uno stile di Attaccamento Confuso o Disorganizzato.
Da qui si deduce come sia importante in qualità di genitori realizzare un lutto evolutivo per essere emotivamente sensibili e “realmente” presenti nell’interazione con i propri figli e per permettere loro di crescere in maniera più integrata possibile.


Bibliografia
Guarise Monica (2012) “Come si girano i girasoli”. Come aiutare un genitore a vedere il proprio figlio in consultazione psicoterapica. Psicologia Psicoterapia e Salute, 2012, Vol.18 233-290.





venerdì 4 aprile 2014

Ansia: perchè curarla con lo Yoga e le terapie naturali


 “il dottore del futuro non darà più medicine
ma interesserà il paziente alla cura della struttura umana,
alla dieta e alla prevenzione della malattia”
Thomas Edison

L’idea di trattare l’argomento dell’alternativa all’uso dei farmaci nei vari disturbi psichici nasce dall’osservazione nell’ambito dei corsi di yoga dove insegno, in particolar modo in quelli che realizzo con i ragazzi universitari, di una situazione a mio avviso preoccupante: e cioè del fatto che in molti, soprattutto tra i giovani siano indirizzati tranquillamente a far uso di psicofarmaci per trattare ansie, angosce e banali mal di testa.
Il tutto senza avere una reale presa di coscienza sui rischi in cui si può incorrere nell’assunzione prolungata di tali farmaci; primo tra tutti quello della dipendenza.
Questa situazione, credo, sia il risultato dell’effettiva mancanza di conoscenza di quelli che possono essere le controindicazioni nell’uso dei vari psicofarmaci ma anche del fatto che non vengono spesso proposte all’individuo che si rivolge agli specialisti del settore strumenti alternativi con cui affrontare e risolvere le varie problematiche.
I disturbi su cui mi vorrei soffermare sono quelli dove la richiesta di aiuto è maggiore e che interessano buona parte della popolazione e rientrano nella categoria dei disturbi di ansia (che comprende i disturbi di ansia generalizzata, gli attacchi di panico, le varie fobie-sociale, specifica , i disturbi ossessivo-compulsivo, distrubo acuto da stress).
I distrubi d’ansia spingono ben sette milioni e mezzo di italiani a essere consumatori abituali di “ansiolitici”; oltre a questi sembra che altri cinque milioni di persone soffrano di ansia, o semplicemente credano di soffrirne.
Secondo la psicologia tali disturbi sono considerati come la degenerazione di una reazione emotiva facente parte del nostro bagaglio genetico emotivo.
Esiste infatti un’ansia di tipo “fisiologico” che rappresenterebbe uno stato psicologico e corporeo dell’essere umano nei confronti delle vicissitudini della vita; stato che si differenzia come manifestazione dai disturbi d’ansia veri e propri.
Ad esempio quando una persona deve affrontare una prova entra in genere in lieve stato ansioso. Il suo corpo e la sua psiche si “orientano” verso l’imminente evento quasi per prepararsi a risolverlo nel miglior modo possibile. In questo caso l’ansia “moderata” e di breve durata sembra essere un segno di adattamento dell’individuo a una situazione ambientale che gli richiede risposte soddisfacenti. L’aumento dell’attenzione, della concentrazione, della memoria, della tensione muscolare e di altre funzioni psicofisiche (come per esempio l’innalzamento della pressione del sangue, del battito cardiaco) è considerato come una sorta di “carica energetica” finalizzata al superamento della prova. Tuttavia quando in altre situazioni questo stato è continuo oppure diviene troppo intenso provoca al contrario, la “caduta” delle funzioni sopra descritte. In altre parole la persona può perdere memoria, concentrazione, essere disattenta, sentirsi troppo stanca e improvvisamente “vuota” dal punto di vista mentale tanto da essere incapace di adeguarsi normalmente alla vita di tutti i giorni. Questo caso rientra nel campo dei lievi disturbi ansiosi.
L’attacco di panico è caratterizzato da un’improvvisa e inaspettata sensazione di terrore e angoscia durante la quale nel giro di pochi minuti possono apparire diversi sintomi come palpitazioni, sudorazione, tremori, sensazione di soffocamento dolore o fastidio al petto, nausea o disturbi addominali sensazioni di sbandamento, o di svenimento; derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da sé stessi); paura di perdere il controllo o di impazzire; di morire; brividi o vampate di calore.
Una delle possibili complicazioni degli attacchi di panico, soprattutto quando sono ripetuti, è che la maggior parte delle persone via via sviluppa un’ansia “anticipatoria” (cioè la paura di nuovi episodi di panico) e conseguentemente cerca di evitare le situazioni che sono state associate agli attacchi; ne consegue un certo isolamento.
 I trattamenti abitualmente adottati prevedono:
La terapia farmacologica: largamente usata, si prescrive solitamente per brevi periodi dato che generalmente si sviluppano fenomeni di assuefazione e dipendenza che spingono l’individuo ad assumere quantità sempre maggiori di farmaci. Tra gli effetti collaterali di questi farmaci troviamo la sonnolenza, l’aumento del peso, i disturbi cutanei, mal di testa, impotenza, vertigini, irregolarità mestruali. Inoltre, in alcuni casi, l’interruzione dell’uso di questi farmaci può a breve o a lungo termine far riapparire, anche in maniera amplificata, i sintomi iniziali associati ad altri nuovi.
Solitamente la terapia farmacologica è affiancata dalla psicoterapia di tipo congitivo-comportamentale che è orientata a correggere attraverso tecniche pratiche (incluse tecniche di rilassamento) i comportamenti disfunzionali e a trasformare certi schemi fissi di ragionamento considerati la causa dei sintomi.
Il distrubo d’Ansia Generalizzato è invece caratterizzato, da almeno sei mesi di ansia e preoccupazioni incontrollate presenti per la maggior parte della giornata; che compromettono negativamente il sonno, l’umore e la concentrazione, creano tensioni muscolari e affaticabilità; tachicardia, vertigini, bocca secca, sudorazione aumentata, formicolii. Il trattamento è sempre farmacologico con ansiolitici associati alla terapia di tipo cognitvo-comportamentale o psicodinamica.



Secondo l’insegnamento Yoga, le varie disfunsioni di ordine fisico, psichico e mentale con cui l’essere umano si confronta, riflettono l’incapacità di distribuire in modo adeguato l’ energia nei vari centri nervosi che sono presenti in ogni individuo.
L’assunto di base da cui si parte è quello secondo il quale questi centri nervosi chiamati Chakra rappresentano dei punti-focolai di emissione e ricezione dell’energia dell’essere; in questi punti a livello bioenergetico l’energia ha una maggiore concentrazione e dal punto di vista anatomico i nervi si uniscono per formare i più importanti plessi ( come il cardiaco, solare ecc.).
Questi centri presentano delle caratteristiche specifiche che l’individuo manifesta nel momento in cui ha una predominanza energetica in uno o più di essi; inoltre regolano l’attività delle ghiandole e degli organi che gli corrispondono dal punto vista anatomico (ad es. Anahata Chakra-centro plessocardiaco-controlla l’attività del cuore, polmoni ecc.- caratteristiche affettività elevata, amore puro, l’altruismo ecc.)
Secondo questa visione i disturbi di ansia sono l’espressione di uno squilibrio energetico a livello di tre Chakra: Muladhara, Manipura e Anahata,

Il primo di questi Chakra, Muladhara (alla base della colonna vertebrale) è legato principalmente all’istinto di conservazione, alla preoccupazione per la sopravvivenza fisica e corporea, all’aspetto più materiale dell’essere; una sua attivazione disarmoniosa si esprime con paura eccessiva di essere attaccati, annientati, di perdere il controllo.
Facendo un parallelismo con la classificazione dei disturbi di ansia possiamo osservare una similitudine tra le caratteristiche precedentemente enunciate e alcuni dei sintomi come la paura di impazzire o perdere il controllo; la sensazione di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento; la paura di morire.
Possiamo osservare inoltre come nell’ansia da prestazione professionale o nelle fobie sociali è sempre il piano materiale ad essere implicato come manifestazione della disarmonia in Muladhara Chakra.
Lo squilibrio energetico riguarda abbiamo detto anche il terzo Chakra Manipura ( due cm sotto l’ombelico) centro che controlla l’attività del plesso solare e che troviamo legato principalmente al dinamismo dell’essere, alla passionalità, al controllo; la sua attivazione disarmoniosa si esprime in un comportamento caratterizzato dalle dinamiche dominio/sottomissione.
In alcune manifestazioni d’ansia, come l’agorafobia, le dinamiche psicologiche sottostanti il disturbo riguardano appunto il conflitto tra dipendenza e indipendenza presente nell’individuo; in sintesi, il disturbo spesso è una modalità attuata per avere il controllo di sé e dell’altro.
La correlazione può continuare tra la paura di perdere il controllo, propria dei disturbi di ansia, e l’impulsività e l’irrascibilità proprie di un’energia eccessiva e non controllata in Manipura Chakra. Come sintomi fisici dell’ansia espressione dello squilibrio energetico in Manipura abbiamo la nausea, i disturbi addominali, vampate di calore ecc.
Anahata Chakra (situato al centro del petto) controlla il plesso cardiaco ed è legato alle emozioni, all’affettività e all’empatia dell’individuo. Possiamo osservare come gli attacchi di panico, si presentano spesso in situazioni di separazione e di abbandono (per questo vengono solitamente esplorate le tematiche riguardanti la dipendenza del soggetto); inoltre una manifestazione tipica della disarmonia di Anahata è l’agitazione mentale e fisica che ritroviamo nei disturbi d’ansia come palpitazioni, sensazione di soffocamento, dolore o fastidio al petto
La modalità elettiva per ricreare l’equilibrio e per armonizzare le energie nei Chakra è rappresentata dall’Hatha Yoga: gli asana infatti permettono lo scorrimento delle energie nell’essere e la loro distribuzione armoniosa; nel caso dei disturbi d’ansia è necessario quindi impostare una pratica quotidiana e costante che prediliga le posture che attivano i tre chakra su menzionati. Attraverso la pratica yoga oltre ad agire su quelli che sono i sintomi fisici , quindi sul corpo, si lavora anche sul piano mentale e psichico; in tal modo è possibile arrivare ad avere una maggiore autostima, si accresce la fiducia in se stessi, e la forza interiore.

La realizzazione di tecniche di rilassamento (presenti anche nella terapia di tipo comportamentale) e di tecniche di training autogeno permettono un rilassamento dei vasi sanguigni, una riduzione della tensione muscolare, un maggiore afflusso di sangue in quasi tutti gli organi e una migliore funzione respiratoria.
Nello specifico è raccomandata la realizzazione di Yoga Nidra (= sonno yoga), un metodo yogico che permette di entrare in uno speciale sonno yogico senza sogni in cui la coscienza resta sospesa ma iper vigile e appare un rilassamento profondo a livello muscolare, nervoso e psichico.
Durante la realizzazione di questa tecnica la coscienza entra in contatto con le energie benefiche del macrocosmo raffinando il suo livello, e l’essere sperimenta uno stato di straordinaria pienezza.
Eseguire una respirazione consapevole permette, se praticata sistematicamente di mantenere uno stato di distensione mentale e di calma; nello specifico è indicato realizzare nei momenti di crisi (quando il respiro diventa affannoso o si ha la sensazione di “mancanza d’aria”) delle respirazioni profonde e addominali
La pratica della meditazione sia specifica sull’attivazione dei Chakra che realizzata con i mantra, da parte di colui che ha ricevuto l’iniziazione da un Maestro, permette di sperimentare e acquistare sia uno stato di distacco che di sviluppare una prospettiva di analisi dei problemi e delle situazioni più ampia, con una conseguente stabilità emozionale.
E’ possibile inoltre abbinare una terapia a base di piante officinali come valeriana, menta, basilico, ashwaganda e iperico o utilizzare i fiori di Bach, o l’omeopatia; tali trattamenti non hanno controindicazioni, né effetti collaterali e non creano assuefazione.
L’oligoterapia (cura con i minerali) consiglia per lo stato ansioso di assumere manganese – cobalto.
È possibile aiutarsi con la cromoterapia utilizzando il blu e il giallo sia nell’abbigliamento che come forma di trattamento; indicati sono la pranoterapia e la musicoterapia.
E’ bene inoltre utilizzare delle idee forza del tipo “sono sereno, tranquillo e in pace con me stesso e con tutto quello che mi circonda” che permettono di dinamizzare il subconscio in maniera positiva. L’idea sarà ripetuta appena svegli e prima di addormentarsi per 21 volte; durante la giornata è bene utilizzarla per controllare le fluttuazioni mentali; la dinamizzazione del subconscio si ottiene inoltre scrivendo e e tenendo la rispettiva frase in posti accessibili al nostro sguardo.
Trascorrere del tempo in mezzo alla natura è un’ottima modalità per ricreare un contatto con se stessi e per ristabilire uno stato interiore di tranquillità.
Anche l’alimentazione va curata, evitando sostanze eccitanti come caffè, tè, cioccolata, cacao, coca-cola e droghe eccitanti come zafferano, pepe, curry. Sembra che esista per curare l’ansia un esame “bioelettronico”, non invasivo e chiamato Vega test, attraverso il quale si possono individuare classi di alimenti (lieviti, latte e derivati, cereali) che spesso favoriscono le reattività ansiose e che perciò vengono eliminati dalla dieta.
Per ultimo ma non per questo meno importante sarebbe bene imparare a volersi realmente bene ad avere più fiducia in se stessi e avere una visione più positiva della realtà che ci circonda; imparare a lasciare che le cose scorrano senza vivere nell’affanno, a rapportarsi a qualcosa di Superiore che ci permetta di sperimentare uno stato di abbandono attivo e consapevole a ciò che la vita ci riserva.