Questo articolo nasce
da una serie di riflessioni che ho pensato di condividere e non vuole essere una trattazione
psicologica del lutto o della morte; è
piuttosto uno spunto di riflessione di fronte ad un aspetto che molti
schivano ma che ci riguarda prima o poi tutti.
D'altronde
la morte è l’unica certezza che abbiamo nella vita.
E
strettamente personale è il modo in cui ci si rapporta ad essa
.
A
riguardo mi sono fatta alcune domande che vorrei girare anche a voi:
- Qual è il modo in cui sono venuta in contatto la prima volta con la morte e come questo ha influito sul mio modo di rapportarmi ad essa oggi?
Il
mio atteggiamento sin da piccola è stato di curiosità: i miei erano soliti
portarmi le domeniche pomeriggio a fare passeggiate
nei paesini vicini, cosa che vivevo come uno strazio perché
i viaggi in macchina per le strade collinari erano sinonimo di nausea
continua e malessere. Ma una tappa fissa di queste passeggiate era,
su mia grande richiesta, il cimitero del posto. Amavo camminare tra le tombe e
guardare attentamente le foto; chiedevo a mia madre di leggermi gli epitaffi
delle tombe che mi colpivano. Papà aveva l’onere di prendermi in braccio ed
alzarmi a guardare le tombe che erano troppo in alto per me. Non provavo
tristezza o paura, ricordo che mi sentivo serena.
Crescendo i cimiteri sono rimasti per me un
posto di raccoglimento nel vero senso della parola, un luogo dove andare in
alcuni momenti in cui ho la necessità di stare sola con me stessa.
- Cos'è per me la morte?
Un
esame, il più importante che abbiamo da sostenere nella vita.
Viviamo
come con delle scadenze, dei badge da timbrare: prendere la laurea, sposarsi,
comprare casa, ottenere il massimo sul posto di lavoro ecc. Passiamo la vita
impegnandoci per essere all'altezza di ciò che desideriamo, siamo bravi a
diventare esperti in qualcosa, a ottimizzare i tempi ad essere efficienti.
Ma
di fronte al momento della morte siamo preparati?
Qualcuno potrebbe dire
“proprio se ho realizzato tutto ciò che desideravo allora sarò pronto!”
Può
darsi di sì ma può anche darsi che quello che hai realizzato ti crei solo un
grande attaccamento e dolore nel doverlo perdere!
-
- Come
posso prepararmi ad essa?
La
risposta che mi sono data è stata che solo coltivando e curando una mia
dimensione spirituale, non di facciata ma di autentica ricerca interiore posso
in qualche modo approcciarmi al momento della morte con uno stato sereno.
Ponendomi delle domande investigative, analizzando
come l’hanno “vissuta” le persone che conosco e leggendo come l’hanno vissuta i
santi; studiando e conoscendo me stessa. Studiando anche, perché no, quello che
accade fisicamente in una morte naturale o per malattia.
Ho pensato inoltre che posso arrivarci più
preparata se invece di coltivare continui rimpianti su quello che avrei voluto
fare ma non ho fatto imparo a fare il meglio che posso con quello che la vita
mi mette davanti.
Infatti
se desideriamo a tutti costi realizzare un progetto di qualsiasi tipo
(familiare, lavorativo ecc.) ma ci tormentiamo nel caso in cui non si realizza ci perdiamo
la possibilità di godere veramente di quello che in questo momento ci è dato di
avere. Ragionando e agendo in questi termini è come se ci poniamo
nell'attitudine di essere la persona giusta nel posto giusto, e il senso di
frenesia legato all'ottenere qualcosa lascia il posto a un senso di
accettazione e di valorizzazione di ogni momento. Così se mai la vita dovesse
terminare pensa che stai facendo la cosa che dovevi fare in quel momento e nel
modo migliore!
-
- Cosa
farei se dovessi immaginare di morire a breve?
Per
quanto mi riguarda vorrei essere in pace con tutti, scusarmi (anche solo
interiormente) con chi ho fatto soffrire o con chi è entrato in contatto con il
peggio di me. Godermi i momenti con le persone care apprezzandone appieno il
valore.
Voi
cosa avete risposto a questa domanda? Considerate che quello che vorreste fare
è quello che potete fare già da adesso per dare un valore aggiunto alla vostra esistenza!
Considerare
la morte una parte della vita, seppur dolorosa, e imparare a non temerla
arricchisce a mio avviso la vita stessa e le sue esperienze.
Concludo
citando Hermann Hesse:
“un
giorno mentre Siddharta meditava sotto al solito fico gli si avvicinò un
viandante che stava cercando la via dell’illuminazione. Si misero a parlare del
più e del meno come due vecchi amici quando Siddharta gli chiese:
“Qual
è la mancanza più grave per l’uomo?”E il viandante pensatore rispose: “ è grave
morire senza aver capito la vita. E’ drammatico vivere senza aver capito la
morte!”.
Dott.ssa Alessia Fratoni
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