domenica 13 aprile 2014

Ri-Conoscersi come genitori: “Scenari Inconsci nella relazione genitore-bambino”

Buona parte dei genitori sa che il modo in cui comunica con i propri figli e la capacità che ha di prestare attenzione alle loro esigenze ha un profondo impatto sul loro sviluppo e sul senso di sicurezza indispensabile per affrontare successivamente il mondo.
Non tutti i genitori però sanno che il significato che danno alle proprie esperienze infantili ha un profondo impatto sul loro modo di essere genitori. Nelle relazioni con i figli si tende infatti a mettere  in riedizione quei conflitti che hanno caratterizzato in età infantile il rapporto con i propri genitori.

Questi conflitti, definiti di genitorialità, sono  meccanismi fisiologici funzionali al divenire genitori e danno luogo a due meccanismi: attribuzione di ruolo (role giving) e identificazione complementare (role taking). Attraverso questi meccanismi, infatti, il  genitore cerca di allontanare da sé, mentre è con il proprio figlio, quei  conflitti affettivi irrisolti, ovvero, cerca di allontanare la parte inconscia e non rielaborata della sua infanzia (Berne,1971; Nastasi,1996).  Non sono da considerarsi conflitti patologici ma vanno considerati come fattori strutturanti che caratterizzano l’interazione genitore-figlio e vengono visti come aventi il ruolo di azione propulsiva per lo sviluppo del bambino (Muratori et al., 2008).

Nel meccanismo del role giving ciascun genitore proietta sul proprio figlio immagini significative del passato riferite o ad aspetti di sé in quanto bambino, o ad aspetti dei propri genitori. Un esempio, che fa intendere la presenza di questo meccanismo, è contenuto nella frase: “Assomiglia tutto a me, quando  anch'io facevo come lui” o “è simpatico come mio papà”. Nel role taking, invece si assumono, più o meno consapevolmente, attitudini comportamentali e di ruolo sperimentate, o solo fantasticate, nella relazione infantile con i propri genitori. Ne è un esempio il genitore che dice “Mi viene voglia di picchiarlo” (genitore che è stato picchiato). Questi fenomeni inconsci si verificano all'interno di una dinamica relazionale agita, ovvero secondo una modalità interattiva peculiare di  quella famiglia e tali conflitti di genitorialità cambiano nel corso della crescita del figlio in funzione dell’età e delle specifiche dinamiche che hanno legato il genitore, quando aveva l’età del bambino, ai propri genitori.
I due meccanismi su menzionati possono essere collocati nell’ambito di scenari inconsci nei quali i genitori si possono venire a trovare con il loro figlio. Quando si parla di scenario ci si riferisce al concetto di amore di sé o meglio ancora ideale di sé (ideale dell’Io) secondo cui ognuno vorrebbe sentirsi degno di amore e fiero delle proprie azioni. Tale ideale però nella storia evolutiva dell’individuo può subire dei danneggiamenti delle carenze ecc.
Nel momento in cui si diventa genitori si riapre il file legato a questo ideale e succede che il genitore colloca inconsciamente sul bambino il proprio ideale dell’Io attribuendogli perfezioni, rivendicando privilegi ecc. Può così succedere che il genitore si impegni inconsciamente con il proprio figlio a mantenere gli schemi interattivi,  le immagini e le fantasie che sono state approvate nell’infanzia o desiderate dal genitore quando era bambino. Oppure il figlio diventa lo strumento per cercare di aggiustare, cambiare situazioni di dolore, carenza vissute dal genitore da piccolo.

In ogni scenario il genitore realizza delle proiezioni sul bambino che prendono il nome di role giving e che sono delle attribuzioni di ruolo che vengono fatte sul bambino. Sono stati individuati quattro possibili role giving i quali non vanno però associati a categorie diagnostiche:
1.      Role giving empatico:  si ha quando i genitore proiettano sul figlio  immagini relative ai propri genitori  o ad aspetti di se stessi bambini che sono carichi di affetto positivi.
Sono genitori che godono della presenza del figlio e ne amano le caratteristiche. In questo caso le proiezioni servono a ristabilire i legami con persone significative del proprio passato o a rielaborare lutti sospesi. In questo role giving il bambino può identificarsi con tratti amorevoli e sarà presente uno stile di Attaccamento Sicuro.
2.      Role giving Empatico-Costrittivo: questo scenario si può realizzare quando le proiezioni che i genitori fanno sul bambino riguardano le immagini dei genitori che si avrebbe voluto avere vicino nella propria infanzia, o le immagini di sé come di un bambino amato, che non corrispondono però a quanto è stato sperimentato.
Il genitore, che lotta in questo caso con gli affetti negativi connessi ad esperienze infantili vissute come carenti di qualcosa rispetto ai bisogni fondamentali di sé come bambino, nella relazione attuale ha spesso sensi di colpa rispetto al non fare abbastanza, pretende da se stesso in modo esagerato nascondendo sentimenti depressivi latenti. Il tentativo di incarnare il genitore ideale che si avrebbe voluto avere nella propria infanzia rende questi genitori esausti e con tratti ossessivi. Altra caratteristica di questi genitori è quella di dimenticarsi, ad esempio, di essere anche coniugi.
Il bambino in questo scenario sarà bloccato nella propria autonomia, avrà un eccesso di dipendenza e svilupperà sintomi fobici e somatici che “permetteranno” al genitore di sentirsi il figlio vicino e quindi di rassicurarsi. Sarà presente uno stile di Attaccamento Ansioso-Ambivalente.

3.      Role giving Costrittivo-Deformante (1)
Role giving Costrittivo-Deformante(2): questo scenario riguarda i genitori che, per ragioni diverse, nella propria infanzia sono stati visti e trattati come bambini difficili, cattivi, come pesi per i propri genitori (Tipo 2); o riguarda genitori che si sono percepiti come bambini difficili, e che si sono sentiti in colpa per un’aggressività normale provata nei confronti dei propri genitori (Tipo1). Spesso in queste infanzie sono presenti lutti precoci, malattie gravi o depressioni dove, non essendo presente un’ adeguata rielaborazione hanno portato il bambino a sentirsi responsabile e colpevole.
A causa della colpa che si portano dentro questi genitori  possono assumere un atteggiamento espiatorio di vittimismo e rassegnazione a ricevere maltrattamenti; fanno fatica ad essere autorevoli ma dicono le cose in modo arrabbiato o non fermo alternativamente. Lo “scopo”  di questo role giving da una parte è quella di farsi trattare male dal proprio figlio per espiare una colpa antica, dall’altra è farsi trattare dal bambino nel modo in cui si avrebbe desiderato trattare i propri genitori.
Il bambino se accetta la proiezione può sviluppare sintomi oppositivi provocatori con tratti difficili e aggressivi, non ascolta le regole e non è rispettoso dell’adulto.
Sarà presente uno stile di Attaccamento Ansioso-Ambivalente ed Evitante.
4.      Role giving Deformante-Evacuante: in questo scenario il genitore più che proiettare è come se collocasse sul bambino un’immagine che lo deforma. I genitori “evacuano” sul bambino immagini del passato dei genitori molto cariche di aggressività e odio.
Questi genitori hanno fatto esperienza nella propria infanzia di sentirsi umiliati, sbagliati, perseguitati. Tale esperienza viene rivolta al figlio con un atteggiamento di rifiuto;  è presente inoltre un’idealizzazione della propria infanzia per evitare il dolore e l’angoscia associati e l’identificazione con un’immagine di genitore freddo e distaccato.
Il bambino in questo tipo di scenario si ritrova bloccato nello sviluppo dell’autonomia perché su di lui sono presenti immagini cariche di aggressività e tutti i comportamenti che non sono in linea con l’immagine “evacuata” non vengono considerati dai genitori e perciò il bambino si ritrova ad essere “obbligato” a svolgere un ruolo che gli è stato attribuito.
Sarà presente uno stile di Attaccamento Confuso o Disorganizzato.
Da qui si deduce come sia importante in qualità di genitori realizzare un lutto evolutivo per essere emotivamente sensibili e “realmente” presenti nell’interazione con i propri figli e per permettere loro di crescere in maniera più integrata possibile.


Bibliografia
Guarise Monica (2012) “Come si girano i girasoli”. Come aiutare un genitore a vedere il proprio figlio in consultazione psicoterapica. Psicologia Psicoterapia e Salute, 2012, Vol.18 233-290.





venerdì 4 aprile 2014

Ansia: perchè curarla con lo Yoga e le terapie naturali


 “il dottore del futuro non darà più medicine
ma interesserà il paziente alla cura della struttura umana,
alla dieta e alla prevenzione della malattia”
Thomas Edison

L’idea di trattare l’argomento dell’alternativa all’uso dei farmaci nei vari disturbi psichici nasce dall’osservazione nell’ambito dei corsi di yoga dove insegno, in particolar modo in quelli che realizzo con i ragazzi universitari, di una situazione a mio avviso preoccupante: e cioè del fatto che in molti, soprattutto tra i giovani siano indirizzati tranquillamente a far uso di psicofarmaci per trattare ansie, angosce e banali mal di testa.
Il tutto senza avere una reale presa di coscienza sui rischi in cui si può incorrere nell’assunzione prolungata di tali farmaci; primo tra tutti quello della dipendenza.
Questa situazione, credo, sia il risultato dell’effettiva mancanza di conoscenza di quelli che possono essere le controindicazioni nell’uso dei vari psicofarmaci ma anche del fatto che non vengono spesso proposte all’individuo che si rivolge agli specialisti del settore strumenti alternativi con cui affrontare e risolvere le varie problematiche.
I disturbi su cui mi vorrei soffermare sono quelli dove la richiesta di aiuto è maggiore e che interessano buona parte della popolazione e rientrano nella categoria dei disturbi di ansia (che comprende i disturbi di ansia generalizzata, gli attacchi di panico, le varie fobie-sociale, specifica , i disturbi ossessivo-compulsivo, distrubo acuto da stress).
I distrubi d’ansia spingono ben sette milioni e mezzo di italiani a essere consumatori abituali di “ansiolitici”; oltre a questi sembra che altri cinque milioni di persone soffrano di ansia, o semplicemente credano di soffrirne.
Secondo la psicologia tali disturbi sono considerati come la degenerazione di una reazione emotiva facente parte del nostro bagaglio genetico emotivo.
Esiste infatti un’ansia di tipo “fisiologico” che rappresenterebbe uno stato psicologico e corporeo dell’essere umano nei confronti delle vicissitudini della vita; stato che si differenzia come manifestazione dai disturbi d’ansia veri e propri.
Ad esempio quando una persona deve affrontare una prova entra in genere in lieve stato ansioso. Il suo corpo e la sua psiche si “orientano” verso l’imminente evento quasi per prepararsi a risolverlo nel miglior modo possibile. In questo caso l’ansia “moderata” e di breve durata sembra essere un segno di adattamento dell’individuo a una situazione ambientale che gli richiede risposte soddisfacenti. L’aumento dell’attenzione, della concentrazione, della memoria, della tensione muscolare e di altre funzioni psicofisiche (come per esempio l’innalzamento della pressione del sangue, del battito cardiaco) è considerato come una sorta di “carica energetica” finalizzata al superamento della prova. Tuttavia quando in altre situazioni questo stato è continuo oppure diviene troppo intenso provoca al contrario, la “caduta” delle funzioni sopra descritte. In altre parole la persona può perdere memoria, concentrazione, essere disattenta, sentirsi troppo stanca e improvvisamente “vuota” dal punto di vista mentale tanto da essere incapace di adeguarsi normalmente alla vita di tutti i giorni. Questo caso rientra nel campo dei lievi disturbi ansiosi.
L’attacco di panico è caratterizzato da un’improvvisa e inaspettata sensazione di terrore e angoscia durante la quale nel giro di pochi minuti possono apparire diversi sintomi come palpitazioni, sudorazione, tremori, sensazione di soffocamento dolore o fastidio al petto, nausea o disturbi addominali sensazioni di sbandamento, o di svenimento; derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da sé stessi); paura di perdere il controllo o di impazzire; di morire; brividi o vampate di calore.
Una delle possibili complicazioni degli attacchi di panico, soprattutto quando sono ripetuti, è che la maggior parte delle persone via via sviluppa un’ansia “anticipatoria” (cioè la paura di nuovi episodi di panico) e conseguentemente cerca di evitare le situazioni che sono state associate agli attacchi; ne consegue un certo isolamento.
 I trattamenti abitualmente adottati prevedono:
La terapia farmacologica: largamente usata, si prescrive solitamente per brevi periodi dato che generalmente si sviluppano fenomeni di assuefazione e dipendenza che spingono l’individuo ad assumere quantità sempre maggiori di farmaci. Tra gli effetti collaterali di questi farmaci troviamo la sonnolenza, l’aumento del peso, i disturbi cutanei, mal di testa, impotenza, vertigini, irregolarità mestruali. Inoltre, in alcuni casi, l’interruzione dell’uso di questi farmaci può a breve o a lungo termine far riapparire, anche in maniera amplificata, i sintomi iniziali associati ad altri nuovi.
Solitamente la terapia farmacologica è affiancata dalla psicoterapia di tipo congitivo-comportamentale che è orientata a correggere attraverso tecniche pratiche (incluse tecniche di rilassamento) i comportamenti disfunzionali e a trasformare certi schemi fissi di ragionamento considerati la causa dei sintomi.
Il distrubo d’Ansia Generalizzato è invece caratterizzato, da almeno sei mesi di ansia e preoccupazioni incontrollate presenti per la maggior parte della giornata; che compromettono negativamente il sonno, l’umore e la concentrazione, creano tensioni muscolari e affaticabilità; tachicardia, vertigini, bocca secca, sudorazione aumentata, formicolii. Il trattamento è sempre farmacologico con ansiolitici associati alla terapia di tipo cognitvo-comportamentale o psicodinamica.



Secondo l’insegnamento Yoga, le varie disfunsioni di ordine fisico, psichico e mentale con cui l’essere umano si confronta, riflettono l’incapacità di distribuire in modo adeguato l’ energia nei vari centri nervosi che sono presenti in ogni individuo.
L’assunto di base da cui si parte è quello secondo il quale questi centri nervosi chiamati Chakra rappresentano dei punti-focolai di emissione e ricezione dell’energia dell’essere; in questi punti a livello bioenergetico l’energia ha una maggiore concentrazione e dal punto di vista anatomico i nervi si uniscono per formare i più importanti plessi ( come il cardiaco, solare ecc.).
Questi centri presentano delle caratteristiche specifiche che l’individuo manifesta nel momento in cui ha una predominanza energetica in uno o più di essi; inoltre regolano l’attività delle ghiandole e degli organi che gli corrispondono dal punto vista anatomico (ad es. Anahata Chakra-centro plessocardiaco-controlla l’attività del cuore, polmoni ecc.- caratteristiche affettività elevata, amore puro, l’altruismo ecc.)
Secondo questa visione i disturbi di ansia sono l’espressione di uno squilibrio energetico a livello di tre Chakra: Muladhara, Manipura e Anahata,

Il primo di questi Chakra, Muladhara (alla base della colonna vertebrale) è legato principalmente all’istinto di conservazione, alla preoccupazione per la sopravvivenza fisica e corporea, all’aspetto più materiale dell’essere; una sua attivazione disarmoniosa si esprime con paura eccessiva di essere attaccati, annientati, di perdere il controllo.
Facendo un parallelismo con la classificazione dei disturbi di ansia possiamo osservare una similitudine tra le caratteristiche precedentemente enunciate e alcuni dei sintomi come la paura di impazzire o perdere il controllo; la sensazione di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento; la paura di morire.
Possiamo osservare inoltre come nell’ansia da prestazione professionale o nelle fobie sociali è sempre il piano materiale ad essere implicato come manifestazione della disarmonia in Muladhara Chakra.
Lo squilibrio energetico riguarda abbiamo detto anche il terzo Chakra Manipura ( due cm sotto l’ombelico) centro che controlla l’attività del plesso solare e che troviamo legato principalmente al dinamismo dell’essere, alla passionalità, al controllo; la sua attivazione disarmoniosa si esprime in un comportamento caratterizzato dalle dinamiche dominio/sottomissione.
In alcune manifestazioni d’ansia, come l’agorafobia, le dinamiche psicologiche sottostanti il disturbo riguardano appunto il conflitto tra dipendenza e indipendenza presente nell’individuo; in sintesi, il disturbo spesso è una modalità attuata per avere il controllo di sé e dell’altro.
La correlazione può continuare tra la paura di perdere il controllo, propria dei disturbi di ansia, e l’impulsività e l’irrascibilità proprie di un’energia eccessiva e non controllata in Manipura Chakra. Come sintomi fisici dell’ansia espressione dello squilibrio energetico in Manipura abbiamo la nausea, i disturbi addominali, vampate di calore ecc.
Anahata Chakra (situato al centro del petto) controlla il plesso cardiaco ed è legato alle emozioni, all’affettività e all’empatia dell’individuo. Possiamo osservare come gli attacchi di panico, si presentano spesso in situazioni di separazione e di abbandono (per questo vengono solitamente esplorate le tematiche riguardanti la dipendenza del soggetto); inoltre una manifestazione tipica della disarmonia di Anahata è l’agitazione mentale e fisica che ritroviamo nei disturbi d’ansia come palpitazioni, sensazione di soffocamento, dolore o fastidio al petto
La modalità elettiva per ricreare l’equilibrio e per armonizzare le energie nei Chakra è rappresentata dall’Hatha Yoga: gli asana infatti permettono lo scorrimento delle energie nell’essere e la loro distribuzione armoniosa; nel caso dei disturbi d’ansia è necessario quindi impostare una pratica quotidiana e costante che prediliga le posture che attivano i tre chakra su menzionati. Attraverso la pratica yoga oltre ad agire su quelli che sono i sintomi fisici , quindi sul corpo, si lavora anche sul piano mentale e psichico; in tal modo è possibile arrivare ad avere una maggiore autostima, si accresce la fiducia in se stessi, e la forza interiore.

La realizzazione di tecniche di rilassamento (presenti anche nella terapia di tipo comportamentale) e di tecniche di training autogeno permettono un rilassamento dei vasi sanguigni, una riduzione della tensione muscolare, un maggiore afflusso di sangue in quasi tutti gli organi e una migliore funzione respiratoria.
Nello specifico è raccomandata la realizzazione di Yoga Nidra (= sonno yoga), un metodo yogico che permette di entrare in uno speciale sonno yogico senza sogni in cui la coscienza resta sospesa ma iper vigile e appare un rilassamento profondo a livello muscolare, nervoso e psichico.
Durante la realizzazione di questa tecnica la coscienza entra in contatto con le energie benefiche del macrocosmo raffinando il suo livello, e l’essere sperimenta uno stato di straordinaria pienezza.
Eseguire una respirazione consapevole permette, se praticata sistematicamente di mantenere uno stato di distensione mentale e di calma; nello specifico è indicato realizzare nei momenti di crisi (quando il respiro diventa affannoso o si ha la sensazione di “mancanza d’aria”) delle respirazioni profonde e addominali
La pratica della meditazione sia specifica sull’attivazione dei Chakra che realizzata con i mantra, da parte di colui che ha ricevuto l’iniziazione da un Maestro, permette di sperimentare e acquistare sia uno stato di distacco che di sviluppare una prospettiva di analisi dei problemi e delle situazioni più ampia, con una conseguente stabilità emozionale.
E’ possibile inoltre abbinare una terapia a base di piante officinali come valeriana, menta, basilico, ashwaganda e iperico o utilizzare i fiori di Bach, o l’omeopatia; tali trattamenti non hanno controindicazioni, né effetti collaterali e non creano assuefazione.
L’oligoterapia (cura con i minerali) consiglia per lo stato ansioso di assumere manganese – cobalto.
È possibile aiutarsi con la cromoterapia utilizzando il blu e il giallo sia nell’abbigliamento che come forma di trattamento; indicati sono la pranoterapia e la musicoterapia.
E’ bene inoltre utilizzare delle idee forza del tipo “sono sereno, tranquillo e in pace con me stesso e con tutto quello che mi circonda” che permettono di dinamizzare il subconscio in maniera positiva. L’idea sarà ripetuta appena svegli e prima di addormentarsi per 21 volte; durante la giornata è bene utilizzarla per controllare le fluttuazioni mentali; la dinamizzazione del subconscio si ottiene inoltre scrivendo e e tenendo la rispettiva frase in posti accessibili al nostro sguardo.
Trascorrere del tempo in mezzo alla natura è un’ottima modalità per ricreare un contatto con se stessi e per ristabilire uno stato interiore di tranquillità.
Anche l’alimentazione va curata, evitando sostanze eccitanti come caffè, tè, cioccolata, cacao, coca-cola e droghe eccitanti come zafferano, pepe, curry. Sembra che esista per curare l’ansia un esame “bioelettronico”, non invasivo e chiamato Vega test, attraverso il quale si possono individuare classi di alimenti (lieviti, latte e derivati, cereali) che spesso favoriscono le reattività ansiose e che perciò vengono eliminati dalla dieta.
Per ultimo ma non per questo meno importante sarebbe bene imparare a volersi realmente bene ad avere più fiducia in se stessi e avere una visione più positiva della realtà che ci circonda; imparare a lasciare che le cose scorrano senza vivere nell’affanno, a rapportarsi a qualcosa di Superiore che ci permetta di sperimentare uno stato di abbandono attivo e consapevole a ciò che la vita ci riserva.