lunedì 18 ottobre 2021

Bugia patologica e coppia


“Colui che mente a se stesso e dà ascolto alla propria menzogna arriva al punto di non saper distinguere la verità né dentro se stesso né intorno a sé e, quindi, perde il rispetto per se stesso e per gli altri.” F.M.Dostoevskij

Sarà capitato a tutti di mentire, a volte per convenienza e altre per

 quella che viene considerata una “necessità”. Mentire è una cosa che 

tutti facciamo coscientemente o meno e più o meno frequentemente. 

Secondo lo psicologo sociale Jerald Jellison, le persone sono solite 

mentire tra le dieci e le duecento volte al giorno.

Per la maggior parte, si tratta di bugie inoffensive.  

Sono piccole menzogne tese a fluidificare la vita sociale e a salvaguardare i rapporti interpersonali o l’immagine di sé.

Prima di entrare nel vivo della trattazione vediamo le informazioni che abbiamo sull’argomento grazie ai risultati di alcune ricerche.

Secondo una ricerca dell’Università di Harvard: si tende a mentire meno quando è mattina, di più

 quando si avvicina la sera in quanto  l’autocontrollo si affatica, e allenta la sua sorveglianza a mano a

 mano che affronta i compiti della giornata. Così, il pomeriggio e la sera le persone sono più propense a

 mentire (i ricercatori registrano un incremento della propensione del 20 per cento, che è notevole), così

 come sono più propense a trasgredire attuando comportamenti antisociali, o a eccedere con cibo e 

alcol.

Zoe Chance, della Harvard Business School, ha condotto un esperimento su 76 studenti, permettendo

 loro di barare a un test di matematica. Chance ha scoperto che gli imbroglioni non solo ingannavano se

 stessi, ma erano in gran parte ignari delle proprie menzogne fino a convincersi di superare anche test più difficili. Ma non era così. Ha così dimostrato che mentire a se stessi porterebbe le persone a sovrastimare le proprie capacità. Un’altra ricerca ha evidenziato come diventa meno faticoso mentire  quanto più il cervello si abitua a dire bugie. La disonestà è una parte integrante del nostro mondo sociale – scrivono i ricercatori dell’University College London – e influenza ambiti che vanno dalla politica alla finanza alle relazioni interpersonali. Le deviazioni dal codice morale sono spesso descritte aneddoticamente come una serie di piccole violazioni che crescono nel tempo.

La ricerca attesta il verificarsi di un incremento graduale (gradual escalation) della disonestà egoistica, via via che l’abitudine alla menzogna riduce il disagio etico connesso con il fatto stesso di mentire. Attesta inoltre che quanto prima si comincia a mentire, quanto meglio ci si adatta a farlo più frequentemente, e con bugie maggiori, o peggiori. I ricercatori parlano testualmente di “effetto palla di neve”.

Alla stessa conclusione è giunto uno studio pubblicato sulla rivista “Nature Neuroscience”: secondo Tali Sharot, neuroscienziato dell’University College di Londra e autore dello studio, le piccole bugie insignificanti desensibilizzano il cervello alla disonestà, il che significa che gradualmente ci si sente sempre più a proprio agio quando si mente. Quando inganniamo qualcuno, la parte del cervello che regola le emozioni – l’amigdala – si attiva e spesso proviamo un sentimento di vergogna o colpa. L’amigdala reagisce anche quando vediamo immagini che ci rendono felici o tristi. È già stato dimostrato che quando il nostro cervello vede queste immagini carine o tristi molte volte, la reazione dell’amigdala è ogni volta minore.

Il team dell’UCL voleva vedere se questo è vero anche per le bugie.

l risultati hanno indicato l’esistenza di una situazione di “brutta china”, dove la prima menzogna instilla il senso di colpa, ma in mancanza di conseguenze negative, alla terza menzogna ci siamo già abituati. Il team ha ipotizzato che l’attività dell’amigdala potrebbe rappresentare il conflitto interno tra il desiderio di essere visti come onesti e la tentazione di mentire e servire in questo modo i propri interessi.

Da uno studio effettuato all’ Università di Maastricht è emerso che gli uomini avevano più del doppio di probabilità di considerarsi dei bugiardi esperti rispetto alle donne, i ricercatori hanno riscontrato che gli uomini erano molto più bravi a mentire, creando storie credibili all'interno delle quali inserivano le bugie.


 

Quando mentire diventa un’abitudine in psicologia si parla di mitomania o pseudologia fantastica. Questo aspetto della personalità, come la maggior parte, si sviluppa nell’infanzia e i motivi possono essere vari e vanno ricercati nel funzionamento del sistema familiare stesso.

Nella sua manifestazione clinica, quando si manifesta come un aspetto conclamato e limitante per la persona, può rientrare nel quadro di un disturbo di personalità narcisistico, borderline o antisociale.

Può capitare a tutti di avere a che fare nella vita con un bugiardo patologico e nei rapporti più stretti questo comportamento può innescare una serie di problematiche; andiamo a vedere cosa accade nella dinamica di coppia quando si sceglie  un* partener che ha la tendenza a mentire.

Il primo aspetto da tenere in considerazione è quello di analizzare bene se si ha a che fare davvero con delle bugie o se esiste un problema di comprensione e di comunicazione con l’altr*.

Altro aspetto da tenere presente è se ci si trovi davanti a una singola situazione o a un ripetersi di bugie: nel primo caso è utile chiedersi cosa ha spinto l’altr* a non essere sincer*, qual è, se c’è, il nostro contributo?

Si può infatti mentire per difendersi da un giudizio o una critica, oppure perché si pensa di voler tutelare l’altro da una sofferenza, per ricercare approvazione e per altre mille ragioni.

 

Detto questo si può affermare che coloro che hanno relazioni con bugiardi patologici si possono ritrovare a vivere un vero e proprio trauma accompagnato da una serie di vissuti emotivi molto intensi che riguardano non solo l’altro ma anche se stessi come ad es. il sentirsi profondamente stupidi, sbagliati.

Credo doveroso puntualizzare che il fine non è quello di colpevolizzare e puntare il dito su uno dei due partner né di offrire argomenti validi per farlo a chi si ritrova in questa situazione: il fine è di comprendere per poter agire, successivamente, in maniera psicologicamente più sana possibile. Comprendere infatti che alcune fasi emotive siano normali e condivise da molti può essere di aiuto nel processo di “guarigione interiore”.

La prima cosa su cui focalizzare l’attenzione è che può succedere a chiunque di ritrovarsi incastrati in una rete di bugie senza accorgersene.

Mentire è un atto collaborativo, dice la psicologa Pamela Meyer,  spesso diamo credito alle menzogne che soddisfano un nostro bisogno o che ci promettono qualcosa che desideriamo.

 La menzogna, di fatto, colma il divario tra desiderio e realtà di uno dei due soggetti, e forse di entrambi.

È altrettanto assodato che non siamo per niente bravi a intercettare le bugie altrui: ci riusciamo, dice Meyer, per un misero 54 per cento delle volte, mentre gli esperti ci riescono il 90 per cento delle volte.

 Quindi se vi ritrovate in questa situazione andateci piano con il colpevolizzarvi.

Quando iniziate ad accorgervi in quale situazione vi trovate inizialmente potreste cercare di giustificare ai vostri occhi la realtà che vi si sta dispiegando davanti perché è emotivamente difficile da accettare. Potreste ritrovarsi a confrontare il partner su una bugia ma allo stesso tempo accettate l’ulteriore menzogna che vi viene propinata nonostante vi rendiate conto della cosa.

Considerate che la mente cerca non la verità ma che ci sia logicità nelle cose; la mente vuole dare senso. Potreste quindi ritrovarvi a mettete in dubbio il vostro senso critico, la capacità di discernere, l’evidenza.

 È quindi meglio credere a una bugia piuttosto che accettare la realtà che ai vostri occhi è incomprensibile (potreste ritrovarvi a chiedervi spesso “che motivo ha avuto di mentirmi su questo o quello?” senza arrivare a una spiegazione logica perché non c’è.)

Nel momento in cui vi accorgete della “prima” bugia cambia il vostro approccio alla relazione, cominciate a vivere in una costante dualità: da una parte volete bene all’altro e volete credergli per andare avanti, dall’altra non vi fidate più.

E non fidandovi più inizia la concomitanza di rabbia e ricerca della verità. In questa “fase” andate alla ricerca di tutte le verità mettendo in dubbio qualsiasi cosa e, nella pratica, vi ritrovate a raccogliere materiale: mettete insieme pezzi, trovate conferme delle bugie e, in pratica, vi ritrovate a dover ammettere a voi stessi di avere ragione.

 Vi sentite allora traditi, raggirati, delusi ma soprattutto profondamente arrabbiati con l’altr* e con voi stessi per “esserci cascati” per “averci creduto”.

 E’ allora importante qui saper scindere ciò che è l’altr* da se stessi.

Ciò che l’altr* ha fatto e il perché l* riguarda, così come il modo in cui voi avete vissuto la relazione. Questo per dire che se voi siete stati sinceri, onesti e vi siete aperti all’altr* vivendo l’esperienza relazionale al meglio questo resta come qualcosa di buono che parla di voi e di come sapete stare in una relazione ed è un aspetto importante da tenere in considerazione dato che la vostra autostima è fortemente compromessa.

Può esservi di aiuto allora considerate che il problema di mentire è dell’altr* e che lo fa con voi come con chiunque altra persona.

 Non lo fa solo con voi o perché voi avete fatto qualcosa di specifico.

La menzogna compulsiva è un disturbo psicologico e comprendere questo vi può aiutare a dare un senso e a distaccarvi.

Fate però attenzione a non cadere nel tranello della generalizzazione che vi porta a pensare che tutto sia stato una menzogna: l’altro può amarvi anche se vi ha mentito perché le due cose non si escludono e, anche se è difficile per alcuni da comprendere, molto probabilmente non aveva minimamente intenzione né consapevolezza di potervi ferire.

È utile quando ci si trova in questa situazione intraprendere un percorso terapeutico che vi permette di riordinare le idee, di gestire il piano emozionale e di comprendere quale direzione prendere che sia la migliore per entrambi valutando costi e benefici.

 Per esempio, se si decide di investire di nuovo nella relazione si può intraprendere una terapia di coppia.

 Ci sono però situazioni in cui la perdita di fiducia viene così compromessa da impedire ai due di andare avanti, in questi casi restare insieme può diventare una tortura per entrambi.

Nel caso in cui si decide di chiudere il rapporto la terapia personale è utile per entrambi: infatti oltre a fornire sostegno in un momento così delicato vi aiuterà a lavorare da una parte sull’autostima e sull’amore per se stessi e dall’altra sul comprendere i meccanismi che si mettono in atto quando si mente e il perché lo si fa.

Prendetevi cura di voi dedicandovi alla pratica dello yoga e della meditazione che vi aiuteranno a ritrovare centratura ed equilibrio.

Se fate fatica a elaborare l’esperienza siate consapevoli che, seppur con la sofferenza, avete avuto occasione di aver imparare qualcosa e che da questo momento avete un bagaglio di segnali (comportamentali ecc.) che vi permetteranno di capire facilmente quando incontrerete di nuovo una persona che ha la spiccata tendenza a mentire.

E di nuovo prestate attenzione, a non attuare un processo di generalizzazione: se vi è capitato un* partner che vi ha mentito questo non significa che tutti mentano e che dovete diventare diffidenti di default.

 Fate vostra questo motto: “dimentica abbastanza da andare oltre. Ricorda abbastanza affinché non succeda un’altra volta.”

Per ultimo ma non meno importante riflettete sulla vostra implicazione e assumetevi la vostra responsabilità per quel che riguarda la scelta del* partner: avete scelto voi quella persona e non è un caso… ma questo è un altro articolo!

 Dott.ssa Alessia Fratoni

 

  

giovedì 28 novembre 2019

Sulla Morte




Questo articolo nasce da una serie di riflessioni che ho pensato di condividere   e non vuole essere una trattazione psicologica del lutto o della morte; è  piuttosto uno spunto di riflessione di fronte ad un aspetto che molti schivano ma che ci riguarda prima o poi tutti.

D'altronde la morte è l’unica certezza che abbiamo nella vita.

E strettamente personale è il modo in cui ci si rapporta ad essa
.
A riguardo mi sono fatta alcune domande che vorrei girare anche a voi:
  •   Qual è il modo in cui sono venuta in contatto la prima volta con la morte e come questo ha influito sul mio modo di rapportarmi ad essa oggi?

Il mio atteggiamento sin da piccola è stato di curiosità: i miei erano soliti portarmi le domeniche pomeriggio a fare  passeggiate nei paesini vicini, cosa che vivevo come uno strazio  perché  i viaggi in macchina per le strade collinari erano sinonimo di nausea continua  e malessere.  Ma una tappa fissa di queste passeggiate era, su mia grande richiesta, il cimitero del posto. Amavo camminare tra le tombe e guardare attentamente le foto; chiedevo a mia madre di leggermi gli epitaffi delle tombe che mi colpivano. Papà aveva l’onere di prendermi in braccio ed alzarmi a guardare le tombe che erano troppo in alto per me. Non provavo tristezza o paura, ricordo che mi sentivo serena.
Crescendo i cimiteri sono rimasti per me un posto di raccoglimento nel vero senso della parola, un luogo dove andare in alcuni momenti in cui ho la necessità di stare sola con me stessa.

  •    Cos'è per me la morte?

Un esame, il più importante che abbiamo da sostenere nella vita.
Viviamo come con delle scadenze, dei badge da timbrare: prendere la laurea, sposarsi, comprare casa, ottenere il massimo sul posto di lavoro ecc. Passiamo la vita impegnandoci per essere all'altezza di ciò che desideriamo, siamo bravi a diventare esperti in qualcosa, a ottimizzare i tempi ad essere efficienti.
Ma di fronte al momento della morte siamo preparati?
Qualcuno potrebbe dire “proprio se ho realizzato tutto ciò che desideravo allora sarò pronto!”
Può darsi di sì ma può anche darsi che quello che hai realizzato ti crei solo un grande attaccamento e dolore nel doverlo perdere!
-       
  •  Come posso prepararmi ad essa?

La risposta che mi sono data è stata che solo coltivando e curando una mia dimensione spirituale, non di facciata ma di autentica ricerca interiore posso in qualche modo approcciarmi al momento della morte con uno stato sereno.
Ponendomi delle domande investigative, analizzando come l’hanno “vissuta” le persone che conosco e leggendo come l’hanno vissuta i santi; studiando e conoscendo me stessa. Studiando anche, perché no, quello che accade fisicamente in una morte naturale o per malattia.  
Ho pensato inoltre che posso arrivarci più preparata se invece di coltivare continui rimpianti su quello che avrei voluto fare ma non ho fatto imparo a fare il meglio che posso con quello che la vita mi mette davanti.
Infatti se desideriamo a tutti costi realizzare un progetto di qualsiasi tipo (familiare, lavorativo ecc.) ma ci tormentiamo nel caso in cui non  si realizza ci perdiamo la possibilità di godere veramente di quello che in questo momento ci è dato di avere. Ragionando e agendo in questi termini è come se ci poniamo nell'attitudine di essere la persona giusta nel posto giusto, e il senso di frenesia legato all'ottenere qualcosa lascia il posto a un senso di accettazione e di valorizzazione di ogni momento. Così se mai la vita dovesse terminare pensa che stai facendo la cosa che dovevi fare in quel momento e nel modo migliore!
-        
  •   Cosa farei se dovessi immaginare di morire a breve?

Per quanto mi riguarda vorrei essere in pace con tutti, scusarmi (anche solo interiormente) con chi ho fatto soffrire o con chi è entrato in contatto con il peggio di me. Godermi i momenti con le persone care apprezzandone appieno il valore.

Voi cosa avete risposto a questa domanda? Considerate che quello che vorreste fare è quello che potete fare già da adesso per dare un valore aggiunto  alla vostra esistenza!

Considerare la morte una parte della vita, seppur dolorosa, e imparare a non temerla arricchisce a mio avviso la vita stessa e le sue esperienze.

Concludo citando Hermann Hesse:
“un giorno mentre Siddharta meditava sotto al solito fico gli si avvicinò un viandante che stava cercando la via dell’illuminazione. Si misero a parlare del più e del meno come due vecchi amici quando Siddharta gli chiese:
“Qual è la mancanza più grave per l’uomo?”E il viandante pensatore rispose: “ è grave morire senza aver capito la vita. E’ drammatico vivere senza aver capito la morte!”.

 Dott.ssa Alessia Fratoni

mercoledì 17 aprile 2019

M di Mascolinità



Tempo fa avevo trattato 5 aspetti che manifesta una donna quando è risvegliata e esprime a pieno le sue potenzialità (nell’articolo “F di femminilità”) e mi era stato chiesto di scrivere anche il corrispettivo maschile.  

A distanza di un po’ di tempo eccolo!


La premessa resta che seppur  siamo tutti differenti incarniamo, in qualità di donne o uomini, degli aspetti che possiamo definire archetipici.
Questi, nel momento in cui si manifestano, creano armonia nella persona e allo stesso tempo creano nelle relazioni stabilità ed equilibrio.

Quali sono 5 caratteristiche che dovrebbe manifestare un Uomo che incarna il principio maschile?

1) VERTICALITÀ- STABILITA’: ovvero la capacità di prendere una posizione, di portare avanti quello che si decide, di essere “fermi” e un riferimento per gli altri.
Quando si è verticali non si oscilla, quindi nel momento in cui si incarna questo aspetto, si manifesta stabilità nei comportamenti e nei vissuti interiori.                                                              
Non si è volubili, lunatici, emotivi.

2) PROTEZIONE - SICUREZZA: diversi studi psicologici hanno evidenziato come un aspetto inconscio, ancestrale che guida una donna nella scelta del partner è il vissuto di protezione che vive in presenza del partner.

 L’idea dell’uomo bello e dannato, poco affidabile, in realtà non guida la scelta quando si vuole mettere su una famiglia. Questa protezione/sicurezza può essere manifestata in diversi modi: per alcuni sarà rappresentata dalla stabilità economica, per altri dal saper sostenere la partner e dal rassicurarla così come dal sapere gestire le situazioni difficili in prima linea.

3) RAZIONALITA’: Solitamente un Uomo ricerca soluzioni, usa la logica e la ragione. Questo vuol dire  anche che pur essendo profondamente affettivo non è “fluttuante” nei vissuti, non ha sbalzi di umore (non a caso non ha il ciclo J!)  ed è più riservato di una donna nel manifestarli.
 La razionalità è la capacità di saper anche gestire situazioni in cui la ragione ha la meglio sul piano  emotivo aiutando a realizzare scelte più adatte al contesto.

Quando si incarna questo aspetto come partner sappiate che se andate da lui per raccontare qualcosa che per voi è un problema vi verrà fornita subito la soluzione…  mentre voi cercavate semplicemente qualcuno che vi ascoltasse  e vi dicesse “mi dispiace per come ti senti!” J Essere consapevoli che è una caratteristica dell’uomo quella di fornire soluzioni vi risparmierà litigi per incomprensioni!.

4) CAPACITA’ DI CONTROLLO/DI PRENDERE DECISIONI: un Uomo controlla le sue emozioni, non è impulsivo e ha la capacità di prendere in mano le situazioni, le responsabilità e di scegliere. Anche una donna sa scegliere, tuttavia in una coppia equilibrata dopo un confronto è buona cosa che sia lui ha mettersi in prima linea rispetto alle responsabilità della scelta. 
D'altronde sappiamo che dietro a un grande uomo c’è sempre una grande donna J

5) INTROSPETTIVO: per sua natura un Uomo non parla molto, questo non vuol dire che però non comunica o non si confronta quando è necessario esprimendo ciò che pensa o sente.

 E’solamente per natura più silenzioso della donna e ha bisogno di momenti per stare da solo nei quali si rigenera e riposa. In questo caso è buona norma imparare a rispettare i suoi spazi, capire che se non risponde  subito alle vostre domande quando rientra a casa la sera non è per farvi un dispetto né ce l’ha con voi; ha solo bisogno di stare un po’ per conto suo J


Buona riflessione!
Dott.ssa Alessia Fratoni

martedì 30 gennaio 2018

F di Femminilità



                                                                 
                                                                                               "L'uomo   è il cervello. La donna il cuore.
                                                                                    Il cervello fabbrica luce, il cuore produce amore.
                                                                                            La luce feconda, l'amore resuscita." V.Hugo

Ogni essere umano, come è giusto che sia, si manifesta diversamente dagli altri e nell'universo femminile abbiamo una moltitudine di differenze; eppure ogni donna dovrebbe incarnare e manifestare un aspetto dell’Eterno Femminile.

Questo rappresenta la manifestazione delle caratteristiche di base e costitutive, potremmo definirle archetipiche; caratteristiche che ogni donna dovrebbe incarnare e manifestare.

Oggigiorno a causa di più fattori, tra i quali troviamo la tendenza a invertire i ruoli nell'ambito di una coppia, come anche la ricerca eccessiva di una parità in tutto che tende a snaturare alcuni aspetti e differenze fondamentali;  non sempre le donne manifestano la femminilità.

Essere femminili implica dunque qualcosa di molto più complesso del semplice apparire, è uno stato che va manifestato ma prima di tutto è necessario svilupparlo e  esserne  coscienti.
Lavorare su se stesse, da sole o con l’aiuto di un professionista, e decidere di manifestare il meglio di sé è una scelta intelligente che predispone a cambiamenti e migliora le relazioni con gli altri.



Quali sono  alcune caratteristiche delle donne che hanno risvegliata la femminilità?

1) Femminilità è sinonimo di Armonia:
che si manifesta nei gesti, nei modi così come nelle parole che si usano.
Così ad esempio usare un italiano corretto evitando dialettismi, evitare parolacce e prestare attenzione al tono in cui si parla diventa piacevole non solo all'orecchio ma anche all'anima dell’ interlocutore. Stessa attenzione può essere accordata ai movimenti che possono essere delicati  invece di bruschi (quando ad esempio chiudiamo le porte, spostiamo le cose, camminiamo ecc.)
Prestando attenzione a questi aspetti manifesteremo spontaneamente armonia e  femminilità.  
Che sia in tacco  o in scarpa da ginnastica una donna armoniosa si percepisce e si distingue dalla massa (naturalmente qui ci vuole una dose di buon senso nel non privilegiare un abbigliamento di borchie ecc. che ci fa  percepire più come un uomo che come donne!).

2) Femminilità è Mistero.

3) Femminilità è espressione di Dolcezza e Amore:
Una donna dovrebbe potersi manifestare, in base ai contesti, incarnando questi due aspetti. E così  che sia nel ruolo di mamma, di compagna, di amica ecc. è possibile manifestare dolcezza e  armonia. Non mi riferisco a comportamenti sdolcinati o a chissà quale manifestazione ma a tutto ciò che può risvegliare in chi vi incontra “quel qualcosa” di elevato e sublime a livello dell'anima.

4) Femminilità è capacità di Trasformare:
Si dice che dove passa una vera donna tutto intorno a lei si trasforma. Questo è legato al fatto che la donna, secondo la filosofia orientale, è energia (chiamata Shakti) e  come energia può trasformare in bene, se è ben direzionata e controllata, tutto ciò che incontra (tratteremo l’argomento in maniera più approfondita in un secondo momento).  Per far questo, in maniera cosciente, deve lavorare su di sé e può aiutarla moltissimo partecipare agli incontri di Tantra che la nostra scuola organizza.

5) Femminilità è Incanto:
È la capacità di lasciare in chi vi incontra uno stato di stupore, di tenerezza, di elevazione interiore.



Per risvegliare la femminilità è di aiuto il desiderio e l’attenzione rivolti ad amplificare le caratteristiche elencate come anche altre che sono presenti in una donna; la possibilità di partecipare a  incontri a tema e a corsi come quello di Tantra tenuti dall’Associazione Sundaram (www.amoyoga.it amoyoga facebook) permettono di diventare coscienti di quante potenzialità nascoste sono presenti in ogni donna e di come ognuna possa manifestarsi al meglio amplificando le caratteristiche che la rendono unica.

mercoledì 5 aprile 2017

Donne e pseudo relazioni



Sempre più spesso mi confronto con donne che accettano di continuare a frequentare uomini che non vogliono investire nella relazione, che esplicitamente dicono di voler avere una semplice frequentazione e addirittura che confidano di essere ancora profondamente coinvolti affettivamente dall’ ex.
Mi riferisco a pseudo relazioni dalla prospettiva in cui è quindi la donna ad essere coinvolta mentre dall'altra parte c’è una simpatia, un’attrazione fisica o un semplice “affetto”; per gli uomini approfondiremo in seguito.

Mi sono domandata: cosa spinge queste donne ad accettare queste pseudo relazioni?

 La prima cosa che viene da considerare  è la paura di restare sole che, presente in entrambi i sessi, può giocare inconsciamente un ruolo importante in questo accanimento nei confronti di  qualcuno che dichiara esplicitamente di non essere innamorato; così come anche nell'accettare di vivere relazioni prive di amore pur di avere qualcuno accanto. In poche parole il detto “meglio soli che male accompagnati” in questo caso non ha alcun valore.

Il pensiero si sposta su un altro aspetto che potrebbe essere implicato: la fantasia che può spesso apparire in questi casi di “poter cambiare l’altro”, del “tanto lui cambierà, si innamorerà, ci vuole solo tempo”. L’esperienza dimostra che se all'inizio la relazione non è “rosa e fiori” e se non trabocca l’entusiasmo e l’Amore ovunque, state certe che non ci sarà il colpo di scena tanto desiderato; in altre parole non  potete sperare di ottenere delle mele dall'albero delle pere!

Emerge poi l’aspetto, correlato al precedente, che riguarda l’inclinazione che può essere presente  “alla sindrome della crocerossina”. Sono state scritte pagine e pagine a riguardo;  la tendenza eccessiva a prendersi cura dell’altro in questo caso specifico si mescola al tentativo  continuo di cercare di “far innamorare l’altro” .

Un certo ruolo, in questo accanimento, potrebbe derivare anche dal fatto che l’altro seppure non vi ami vi sta comunque offrendo qualcosa!
Berne parlava a riguardo di “carezze” e di “bisogno di riconoscimento”. Secondo Berne ogni essere umano ha, sin dalla nascita, un bisogno innato di riconoscimento e qualsiasi atto che soddisfi tale bisogno viene definito “carezza”; senza entrare ora troppo nei dettagli ogni attenzione positiva ma anche negativa rappresenta una forma di riconoscimento. Berne ha osservato come il principio fondamentale che anima il comportamento degli esseri umani è che: qualsiasi tipo di carezza è meglio di nessuna carezza, ovvero il nostro bisogno di essere “accarezzati” (riconosciuti) è così importante che se non si ricevono a sufficienza carezze positive, si farà in modo di avere almeno quelle negative. Di conseguenza accontentarsi di quel poco che l’altro vi offre  “è certo” meglio di niente.


Un aspetto su cui  vi è utile riflettere riguarda che cosa vi portate dalle esperienze di coppia precedenti: vi ritrovate nella stessa situazione? Vi siete mai sentite veramente amate? Le dinamiche sono sempre sbilanciate nel dare e nel ricevere?

In questi casi possano essere presenti anche una bassa autostima e una perdita della dignità: se  per prime non credete di meritare l’Amore totalizzante e di conseguenza se non fate scelte in questa direzione e non prendete posizioni ferme la Felicità vi passerà accanto!

E’ utile se vi ritrovate in questa situazione intraprendere un percorso di psicoterapia con il fine di acquistare una maggiore consapevolezza dei processi inconsci che vi si attivano quando vi ponete in una relazione di coppia,  per capire sulla base di cosa scegliete una persona piuttosto che un’altra e perché vi ritrovate spesso a vivere le stesse emozioni e situazioni anche se cambiano i protagonisti. In questo modo potrete diventare più coscienti di cosa volete realmente e potrete permettervi di intraprendere nuove relazioni partendo da una base sana e paritaria.
  

Dott.ssa Alessia Fratoni

giovedì 2 febbraio 2017

L'Arte di vivere bene



E’ sufficiente  osservare il comportamento di chi ci circonda e perché no, anche il proprio, per rendersi conto come oggigiorno la qualità della vita per quanto  riguarda la maggior parte degli esseri umani è alquanto bassa. Roma, ad esempio, nonostante la sua incontestabile bellezza e le possibilità che offre in ogni settore,  secondo la classifica risultato della ricerca di ItaliaOggi realizzata dalla Sapienza di Roma è scivolata lo scorso anno, in ottantottesima posizione rispetto alla sessantanovesima dell’anno precedente.
E non risulta così difficile credere a questi risultati per chi ci vive: ore spese in macchina in mezzo al traffico, mezzi che non passano, file interminabili agli sportelli.

Come possiamo aiutarci? Cosa fare per  imparare a vivere meglio?
 Ecco un decalogo di 10 punti  per imparare a vivere sereni:
  • Trovare ogni giorno uno scopo elevato che vada oltre il semplice “dover fare le cose”: parlo di qualcosa di non prettamente materiale e che ha come risultato quello di farvi sentire bene interiormente e appagati come ad esempio la possibilità di fare qualcosa senza tornaconto personale ma solo per il piacere di farlo e di aiutare qualcuno.
  •  Imparare a cambiare almeno una cosa al giorno rispetto alle abitudini quotidiane tipo: la strada che si fa per andare al lavoro, la sequenza e il modo di compiere dei rituali quotidiani (scendere dal letto ecc.). Ognuno di noi ha dei rituali e tende a fare sempre le stesse cose creando degli automatismi che rischiano di appiattirvi interiormente e a livello cognitivo; considerate infatti che è sufficiente modificare anche solo qualche  gesto (ad esempio cambiando mano quando ci laviamo i denti) per  permettere al cervello di far funzionare l’emisfero opposto e stimolare aree cerebrali diverse.
  •    Cercare quanto più possibile di applicare l’attenzione alle cose che si fanno: sembrerà una frase fatta ma quanti di voi lo fanno realmente? Questo implica la capacità di direzionare in quel momento la propria mente su qualcosa di specifico e di non lasciarla invece libera di creare pensieri  (spesso inconsci) che arrivano a condizionare il proprio stato d’animo e che possono anche sfinire fisicamente. Un aiuto in questa direzione può essere quello di programmarsi ogni tot (ad esempio ogni mezz'ora/ora) una sveglia telefonica che quando suonerà ci ricorderà di essere in quel momento attendi e focalizzati su quello che stiamo facendo. Utile è anche imparare a “dirsi” interiormente quello che si sta facendo; esempio: Sto guidando e sento il volante e percepisco la posizione del mio corpo sul sedile ecc…”
  •   Imparare a nutrire tutti gli aspetti che ci compongono: corpo mente e spirito. Oggi la tendenza che prevale è quella preoccuparsi a volte esclusivamente dell’aspetto materiale a discapito degli altri due. Per analogia è come andare in palestra e lavorare esclusivamente sulla parte superiore del corpo tralasciando la parte dal bacino in giù; i risultati lascio a voi immaginarli.Questo atteggiamento a lungo andare crea una disarmonia interiore e di conseguenza uno stato di malattia (non necessariamente fisica ma a livello dell’anima). Trovare del tempo per leggere libri, per immergersi nella natura e goderne a pieno, trovare una propria dimensione spirituale e dedicare del tempo ad approfondirla rappresentano fonti di puro nutrimento interiore.
  •   Un altro aspetto a cui accordare attenzione è quello della ricerca dei propri talenti: ognuno di noi ha delle propensioni e delle capacità che lo rendono unico. Imparate a scoprirle e  dedicate del tempo anche ad esse,  in questo modo farete qualcosa che vi piace e che vi riesce anche bene!
  •    Imparare a coltivare la felicità delle piccole cose: se prestate attenzione a quest’aspetto potrete accorgervi come ogni giorno esistono più motivi per essere felici e come invece vengono sottovalutati . Se ne diventate coscienti, allenando appunto attenzione, potrete regalarvi vissuti di gioia con estrema facilità!
  •  Coltivare il discernimento  e il senso critico, o in altre parole imparate a usare la capacità riflessiva: una tendenza psicologica risaputa è quella secondo la quale all'interno di una massa e per influsso di questa, il singolo subisce una profonda modificazione delle sue capacità intellettive e la sua capacità intellettuale si riduce in misura considerevole. Se si attiva il discernimento si impara a non uniformarsi bensì a scegliere in maniera consapevole:  vi aiuterà a fare le scelte più giuste per voi in quel momento.
  •   Imparare ad accettare che possono esistere punti di vista differenti e modi di porsi diversi e che non necessariamente il proprio è il migliore. Questo approccio alla vita vi permetterà  di essere più sereni in quanto vi arrabbierete molto di meno e  diventerete  più distaccati. Questo non vuol assolutamente dire che dovrete condividere punti di vista che non sentite vostri; il motto è “accetto anche se non necessariamente condivido”!
  •   Amatevi di più ovvero mangiate bene, riposate il giusto, scegliete compagnie  e situazioni che vi arricchiscono, il tempo è prezioso e non va sprecato.
  •  Ultimo aspetto ma non meno importante è ricordatevi di ringraziare sempre: chi vi circonda, la natura, il Divino. La gratitudine è dolce per chi la riceve ma ancor più è nutrimento per la vostra anima.