mercoledì 26 marzo 2014

La Relazione Terapeutica.Quaderni tecnici per gli addetti ai lavori: Terza parte

Guidano & Liotti affermavano che  “La relazione terapeutica è un rapporto reale nella vita del paziente e può essere l'elemento che più di ogni altro influisce sull'efficacia e l'incisività dell'intervento” (Guidano & Liotti, 1979).
Rogers parlava di relazione terapeutica come “elemento curativo di base” (Rogers, 1951); e sosteneva che il terapeuta, al fine di facilitare il cambiamento, deve porsi con un atteggiamento empatico, astenersi dai giudizi ed essere genuino (Rogers 1957).
Questo modo di intendere la relazione terapeutica è molto vicino ai concetti dell'Analisi Transazionale, ovvero che “ognuno è Ok”, ognuno ha la capacità di pensare, ognuno decide del proprio destino e queste decisioni possono essere cambiate (Steward & Joines, 1990). Partendo da questi presupposti il lavoro terapeutico, visto come una relazione collaborativa in cui entrambi mettono in campo le rispettive risorse e competenze, deve essere teso a far sì che il cliente recuperi la propria consapevolezza, spontaneità, intimità e quindi la propria autonomia (Berne, 1964).
Ritengo che tali affermazioni evidenziano il valore della relazione in sé nel lavoro terapeutico e nel processo di cambiamento; e come l’istaurarsi di un rapporto paritario basato sul rispetto reciproco, sulla fiducia e cooperazione siano condizione fondamentale per il buon esito della psicoterapia.
Alla luce di questi assunti, il primo passo che è fondamentale compiere nel processo terapeutico è la costruzione di una buona Alleanza, ossia di quella sinergia emotiva e operativa tra terapeuta e cliente che aiuta quest’ ultimo ad impegnarsi con speranza, fiducia e partecipazione attiva nei compiti richiesti dalla terapia.
 Per facilitarla è essenziale cogliere la prospettiva dell’altro “guardando il mondo attraverso i suoi occhi” soffermandomi su ciò che sembra cruciale e toccante; il paziente ha bisogno di essere ascoltato, di sentirsi accolto e compreso e in questa direzione possono risultare utili interventi di sostegno empatico, di riformulazione, domande di chiarificazione, parafrasi e rispecchiamento (Scilligo, 1991, 1992; Ivey & Ivey, 2004).
Dice Berne che attraverso il terapeuta, il paziente ha la possibilità di sperimentare nel vivo della seduta nuovi modi di interagire che consentono un nuovo apprendimento interpersonale e la costruzione di un senso di sicurezza di sé sufficiente ad eseguire i passi per cambiare (Berne, 1966).
 L’Alleanza può anche includere secondo la Benjamin (2003) forme di legame che implicano diverse versioni dell’attaccamento.
Lo spazio della terapia permette che ciò avvenga, poiché il terapeuta offre una base sicura che consente al paziente di affrontare la paura del cambiamento e sperimentarsi in nuove possibilità di essere. In tal modo gradualmente la persona si accorgerà che tali possibilità funzionano anche al di fuori della terapia e una volta interiorizzate, le nuove modalità, si sostengono da sole per i benefici che ne conseguono.
La psicoterapia, come nuova esperienza relazionale, crea così l'opportunità di modificare le relazioni internalizzate e di configurarsi come processo di guarigione dal copione. Bowlby (1988) definì l'Alleanza Terapeutica una base sicura e il terapeuta come una nuova figura di attaccamento.
È inoltre fondamentale discutere e definire con il paziente le regole del setting; fare attenzione che esse provengano dallo Stato dell’ Io Adulto ed evitare di esprimersi in modo genitoriale o normativo. Ritengo che questo tuteli entrambi e comunichi un senso di serietà e coerenza.
È importante chiedere al paziente di esprimere il proprio parere in merito e restare attenti alla possibilità di reazioni compiacenti che escludano lo Stato dell’Io Adulto.
Berne (1961) descrive l’evoluzione della relazione terapeutica in base a fenomeni inconsci, evidenziando come gli aspetti transferali positivi consentano un’autentica alleanza terapeutica.
 La nevrosi di transfert è definita da Novellino (1987) come “una situazione clinica caratterizzata dal fatto che il paziente, tramite un elastico, rivive nella sua piena intensità emotiva l’impasse originario, vivendo inconsciamente il terapista come se fosse il polo genitoriale dell’impasse stessa”. Il paziente quindi tenderà a  risperimentare la relazione arcaica riproponendo i relativi giochi psicologici. Il paziente proietterà il bisogno insoddisfatto sul terapeuta, poiché egli viene vissuto dal paziente sia come fonte del possibile soddisfacimento del bisogno (polo positivo del transfert) sia come fonte di frustrazione.
Il controtransfert è inteso come reazione del terapeuta ai processi comunicativi inconsapevoli del paziente.
 Secondo Novellino (1987) l’analisi del controtransfert è uno strumento per avere accesso al mondo interno del paziente; il terapeuta, quando lavora con un Adulto (A2) decontaminato e con la sua capacità intuitiva (A1), è libero di leggere i processi comunicativi inconsapevoli del paziente potendo ipotizzare, a partire dalle proprie reazioni, l’esistenza di dinamiche interne al paziente delle quali quest’ultimo non è consapevole.
 L’accettazione di una relazione da transfert permette di costruire attraverso la relazione terapeutica un’esperienza correttiva e antitetica rispetto a quelle del protocollo copionale (Benjamin, 2003).

 Concludo con l’affermazione di Greenberg (2000) secondo cui la relazione terapeutica è necessaria per fornire le basi del lavoro terapeutico; generalmente sufficiente perché curativa in sé;  non sempre efficiente perché può migliorare con interventi concentrati sul compito.

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